Cultura

I padri fondatori di ieri e la Milano del lavoro di oggi

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MEMORANDUM

I padri fondatori di ieri e la Milano del lavoro di oggi

Marco Carassi parla con la pignoleria dell’archivista, attinge qua e là tra 12 mila faldoni e 7300 registri custoditi, tutelati e ricatalogati da Intesa Sanpaolo, e ti regala pezzi di storia e di umanità che appartengono a due secoli di vita di quattro gruppi bancari, ma formano quasi senza accorgersene, tra le tante cose, un particolare indice cromosomico della laboriosità milanese fatta di vocazione internazionale, rigore contabile, cultura del lavoro e impegno civile. È seduto alla mia sinistra al centro congressi della Cariplo, in via Romagnosi, a Milano, nel pomeriggio di mercoledì, per presentare «Memorie di valore», molto più di una Guida ai “patrimoni archivistici” di Cariplo, Comit, Banco Ambrosiano-Banca Cattolica del Veneto, Imi (oggi tutti sotto le insegne di Intesa San Paolo). Carassi legge una relazione scritta fitta fitta, ma si capisce che ha qualche preferenza. Quando parla della Comit, si esprime così: «Nasce nel 1894 per investire sul debito pubblico italiano e sullo sviluppo della rete ferroviaria. Si tratta di un consorzio di banche tedesche, austriache e svizzere “stabilito” secondo accordi tra Crispi e Bismarck. Un’idea dei personaggi fondatori ce la dà la fotografia del vicepresidente Junius Blum Pascha, rappresentante della Banca di credito austriaca. Egli mostra tutta la sua imponente e poco rassicurante presenza, poiché porta al fianco una grande scimitarra. I soci fondatori esercitano un controllo assiduo sull’andamento mensile, anche mediante ispezioni alle filiali, ma lasciano autonomia al management. Riveste, dunque, molta importanza la scelta del personale».

Prende fiato, e butta lì: «Del capo contabile Adolfo Comelli, che ci guarda severo da una fotografia in cui sembra chiederci se abbiamo allineato esattamente le cifre sul margine destro, si ricordano le importanti riforme organizzative attuate tra il 1907 e il 1908. Documentate anche da sue carte private che coprono gli anni 1870-1939...». L’archivista Carassi non nasconde la sua passione per il valore delle carte contabili, e lo fa affidandosi a una frase che si segnala per la sua carica di entusiasmo: «La contabilità è un mondo affascinante (perché serve) per controllare un’azienda, valutarne l’andamento, orientare le strategie e ragionare di prospettive future. Nella serie “Dimostrazioni periodiche” Cariplo (30 faldoni dal 1840 al 1928) si citano gli esempi di contabilità del welfare regionale e i moduli a ricalco inventati per rendere più rapido ed efficace il controllo dei conti di profitti e perdite di filiali».

Che dire, poi, del grande investimento negli anni Trenta in formazione del personale e nel piano di riorganizzazione della Comit di Mattioli e Malagodi per superare la crisi «indotta dalla mancata chiara ripartizione di responsabilità tra dirigenti, direttori e funzionari»? Cito direttamente Malagodi: «Il direttore di filiale non deve essere un burocrate, ma un banchiere che conosce la clientela e tratta affari con responsabilità ed elasticità mentale, applicando la politica generale della banca alle condizioni locali». Vorrà dire o no qualcosa che il mitico modulo 253 che aiuta il funzionario a valutare la richiesta di credito, il valore dell’azienda e le sue prospettive di crescita, è ancora oggi un modello di analisi del rischio straordinariamente attuale con il suo “giudizio ragionato”?

Bello scoprire, spulciando l’Archivio storico di Intesa San Paolo, che esisteva un’Italia industriosa anche nella stagione nera del fascismo e della cosiddetta autarchia con un giovane Giulio Natta che, grazie ai prestiti dell’Imi, faceva ricerca e innovazione per la Società della gomma sintetica tra Ferrara e Milano e faceva così le prove per quel Nobel per la chimica, il polipropilene isotattico, le vaschette di plastica della Moplen, vinto da lui nel ’63 e rimasto fino a oggi l’unico Nobel conquistato da un ricercatore italiano per una scoperta fatta in Italia. Confortante constatare che un pezzo della battaglia di liberazione dal fascismo è nato dentro la rappresentanza romana della Comit: qui si organizzavano le “truppe” dei conservatori liberali per i quali batteva il cuore del marchese Massimiliano Majnoni, e quelle degli azionisti, da La Malfa a Cuccia e Tino, per i quali batteva il cuore di Mattioli. Così come colpisce, a tanti anni di distanza, la lungimiranza di un ceto dirigente, protagonista nei giorni della Resistenza, che quando arriva la democrazia decide di affidare la guida delle banche a figure di garanzia in modo da rimarginare le ferite del fascismo e della guerra ponendo le basi per quel miracolo economico che avrebbe trasformato, in pochi anni, un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata e, successivamente, in una potenza economica mondiale. Sarà un caso che proprio dalla Cariplo, la banca della Lombardia a lungo considerata la più grande cassa di risparmio europea, nata nel 1823 per fare fronte alla dilagante disoccupazione e alle precarie condizioni di vita dei ceti più deboli, emergerà oltre un secolo dopo, sempre in quegli anni della ricostruzione, un bacino di uomini italiani preziosi per le istituzioni internazionali come il suo presidente, Stefano Jacini?

Voglio ringraziare Francesca Pino e Alessandro Mignone per avere usato la cura del “giardiniere” e, zolla dopo zolla, avere rivoltato il terreno della storia facendo riemergere un “lavoro di sponda” per il quale i nostri storici non cesseranno mai di essere grati abbastanza: sono stati catalogati e resi fruibili documenti pubblici e lettere private che ci consegnano una ricostruzione, dal di dentro, di due secoli dell’Italia bancaria, industriale e sociale, senza ometterne vizi, scandali (valga per tutti l’ombra pesante del Banco ambrosiano e la tragica fine sotto il Ponte dei frati neri a Londra di Roberto Calvi) e colpe più o meno gravi. In questa rubrica ho voluto, però, spigolare tra padri fondatori e direttori di filiale, scienziati e contabili, impresa e passione politica, con lo scopo di ricercare nei comportamenti pubblici e nelle confessioni private di uomini di altri tempi i tratti cromosomici di una Milano perbene di oggi che ha radici internazionali, tensione civile, pragmatismo, buone maniere e non ha nulla a che spartire con il malaffare, che pure qui esiste. Magari mi sbaglio, ma tra molte di quelle carte, foto d’autore, lettere inedite, mi è sembrato di riannodare il filo della memoria che arriva ai nostri giorni e spinge un’intera comunità, la Milano del lavoro, armata di spugne e scope, a scendere in strada con un semplice passaparola e a ripulire i palazzi devastati dai black bloc per “restituirsi” la loro città. Da soli, in silenzio, con il piglio della storia.

roberto.napoletano@ilsole24ore.com

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