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Tra maschere e sipari di carta, re Lear è donna

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Teatro

Tra maschere e sipari di carta, re Lear è donna

Quelle tre sorelle unite e amorevole che, entrando in sala, troviamo impegnate a intrecciarsi vicendevolmente i lunghi capelli, sono le stesse che si divideranno: due di loro per avidità, irragionevolezza e crudeltà verso il padre, la terza per troppa sincerità e amore, scatenando la deflagrante tempesta del cuore e della mente. La celebre tragedia di Shakespeare, nella drammaturgia di Stefano Geraci e Roberto Bacci che firma anche la regia, è al femminile. Sfoltito il testo originale. Eliminati alcuni personaggi secondari. E cambiato il titolo in “Lear” togliendo la parola Re. Perché a interpretarlo è una donna. Uno spiazzamento che aggiunge una diversa carica emotiva alla figura del monarca, detronizzato per sua leggerezza e scacciato da due figlie ingrate; e che determina una ulteriore prospettiva sulla condizione umana di quella che, fra le molte emblematiche battute, portatrici di metafore universali, ci è parsa la più emblematica: “la maturità è tutto”. A dirla è un personaggio secondario dello sparuto seguito rimasto al vecchio re alla deriva. Nel monarca-donna ritroviamo tutta l'essenza del personaggio, e del testo tutti i nuclei drammatici di senso. Per l'asciuttezza, l'essenzialità e la chiarezza della messinscena, si arricchisce la complessa tematica di quel contesto di morbosi amori familiari capaci di provocare effetti spietati. E c'è tutta la vulnerabilità della carne umana, la nuda essenza dell'uomo, lo smarrimento di senso, nel balletto dei sentimenti che gli attori incarnano indossando delle maschere neutre e togliendosele nel momento in cui acquistano la consistenza dei personaggi della storia.

Sono, via via, servi di scena, testimoni attivi degli accadimenti, ombre tremule dei personaggi, ma anche spettatori coinvolti. Tutto è immerso nella nuda scenografia costituita da sette sipari di cartapesta dai cupi colori impastati, fatti scorrere continuamente a delineare in profondità e circoscrivere con diverse prospettive il luogo delle azioni: una metamorfosi che, evocando, apre e chiude sequenze di dialoghi intimi o di duelli, di irruzioni o di riflessioni. In questo evocativo perimetro mobile trovano forte eco le lucide demistificazioni del fool, la nudità fangosa del povero Tom ovvero Edmund, un canto celtico del Settecento, o l'esemplare notte astratta della tempesta resa dal particolare rumore dei sipari mossi dagli stessi attori nascosti. Ma è la forte presenza dell'attrice Laura Pasello che non distinguiamo più se è uomo o donna, perché semplicemente essere umano, a incidere nella regressione della vecchiezza, con gesti misurati tra il terrore e lo spaesamento e certi momenti di follia resi quotidiani, che assumono una funzionalità naturale. Se all'inizio avanza portando sulle spalle il peso del suo regno da dividere alle tre figlie - una mappa geografica che srotolerà a terra dando avvio alla sventurata spartizione che vedrà esclusa l'amata Cordelia -, nel finale la vedremo prostrata su quel campo di morte che è diventato l'intero palcoscenico con tutte le tele a terra sopra le quali camminerà, condannata a morire, Cordelia, mentre intona uno struggente canto ucraino.

“Lear”, liberamente ispirato a William Shakespeare, di Stefano Geraci e Roberto Bacci, regia Roberto Bacci; interpreti: Maria Bacci Pasello, Michele Cipriani, Savino Paparella, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Caterina Simonelli, Tazio Torrini, Silvia Tufano. Progetto scene e costumi Márcio Medina, musiche originali Ares Tavolazzi, luci Valeria Foti, Stefano Franzoni. Produzione Fondazione Teatro della Toscana. Prima assoluta a Pontedera, Teatro Era (nell'ottobre 2016 sarà alle Olimpiadi del Teatro di Wroclaw, nell'ambito di Wroclaw Capitale Europea della Cultura 2016).

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