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Machiavelli ben temperato

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Machiavelli ben temperato

  • –Gabriele Pedullà

«Di Giovanni Botero una persona mezzanamente colta può, senza vergogna sua, confessare di non sapere altro se non che fu l’autore della Ragion di Stato». A distanza di più di un secolo queste parole del suo biografo Carlo Gioda sono ancora sottoscrivibili (con qualche interrogativo in più, forse, su cosa sia oggi «una persona mezzanamente colta»). Anche per noi Botero rimane essenzialmente una formula: e questa formula non è altro che il titolo del suo libro più famoso.

Eppure ci sono ottimi motivi perché un lettore di oggi possa interessarsi a lui. Botero, anzitutto, è stato uno dei primi pensatori a concepire la forza degli Stati in termini essenzialmente economici e non militari, come era stato fatto sino al Cinquecento. Poiché, dal punto di vista «estensivo», la capacità bellica dipende dal numero dei cittadini-soldati e solo un paese florido economicamente può essere popoloso, l’eroismo dei singoli in battaglia farà invece la differenza solo in un secondo momento (anche se poi altrettanto importante sarà lavorare, dal punto di vista «intensivo», a rendere il popolo atto alla guerra).

C’è poi, in Botero, una consapevolezza della nuova dimensione globale della politica e dell’economia in cui si sedimenta precocemente il sapere di un intero secolo di scoperte geografiche e spedizioni missionarie. Assieme ad Alberico Gentili e a Tommaso Campanella (sul cui pensiero geopolitico specialmente importanti sono oggi gli studi di Jean-Louis Fournel), Botero appartiene insomma a quella generazione di italiani che, tra fine Cinquecento e inizio Seicento, hanno gettato lo sguardo su un mondo di traffici oceanici che sino ad allora la politica non era riuscita a mettere a fuoco, ancora prigioniera dell’antica frattura religiosa in Oriente e Occidente.

Infine, Botero è il teorizzatore di una politica come arte della conservazione e come sistema di stratagemmi per non soccombere alle minacce che mettono a repentaglio la vita di repubbliche e principati. Negli ultimissimi anni, in polemica contro l’atteggiamento ingenuamente idealistico di gran parte della teoria democratica contemporanea, una nuova generazione di pensatori radicali (come J.J. Maloy e, in parte, John P. McCormick) è giunta ad affermare la necessità di una sorta di ragion di Stato popolare (democratic statecraft): e proprio Botero, emendato dei suoi tratti più scopertamente clericali (come il sogno di un’alleanza tra il trono e l’altare), ha offerto assieme a Machiavelli parecchi spunti di riflessione in tal senso.

Botero ci parla. Non è un caso, allora, se negli ultimi mesi le librerie sono state inondate da una messe di sue opere senza precedenti, almeno da quando, tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento, il suo nome correva in tutta Europa e le tipografie stampavano a ritmo serrato i suoi lavori nelle principali lingue. Per chi volesse verificare sugli originali le idee economiche di Botero riecco dunque Delle cause della grandezza delle città, in ben due edizioni (a cura di Romain Descendre da Viella e Claudia Oreglia da Aragno), le Relazioni Universali per la prima vera mappa politica del mondo globalizzato (a cura di Blythe Alice Raviola da Aragno), Della ragion di Stato per le tecniche di governo degli uomini (sempre a cura di Descendre, ora per i Millenni Einaudi).

Il grande avvenimento sono soprattutto i due volumi approntati da Descendre; si può dire anzi con qualche certezza che queste edizioni sono destinate a segnare un prima e un dopo negli studi sul pensatore piemontese. Tanto la Ragion di Stato quanto le Cause sono infatti presentate per la prima volta in un’edizione critica che consente di seguire con facilità la stratificazione dei testi, ampiamente rimaneggiati dall’autore nel corso degli anni con correzioni, integrazioni e tagli (soprattutto nella sua opera più celebre).

Al di là dei suoi magnifici precetti aforistici («il gastigo di uno ne rattiene le migliaia», «l’interesse acqueta tutti»…) la Ragion di Stato resta un testo difficile da inquadrare storicamente per il suo rapporto in apparenza contraddittorio con Machiavelli: evocato sin dalla prima pagina come simbolo di una politica empia ma poi costantemente presente nel trattato come interlocutore privilegiato. Il lettore di Botero che conosca appena il Principe, i Discorsi e l’Arte della guerra non fatica infatti a riconoscere l’enorme debito verso queste opere: debito di precise soluzioni e pratiche di governo, certo, ma ancor più di concetti, interrogativi, metodi di analisi. Perché, nel complesso, obiettivo del trattato Botero è mettere a disposizione della Chiesa i precetti machiavelliani dopo averli emendati dagli elementi più incompatibili con la dottrina cristiana.

Due sono dunque le principali strategie di normalizzazione seguite dal gesuita Botero. Senza mai mettere in dubbio i principi etici riconosciuti dai suoi contemporanei, nel Principe Machiavelli aveva puntato a un allargamento senza precedenti dello spazio di deroga dalle norme riconosciute che, sotto la pressione dell’emergenza, la giurisprudenza concedeva ai politici in nome di un interesse pubblico superiore. I depositari ufficiali del sapere giuridico avevano visto in questa mossa una minaccia all’intero sistema del diritto, perché eccezioni così frequenti sembravano fondare una nuova norma e concedere ai principi la facoltà di commettere qualsiasi azione con la sola scusa della necessità. La risposta di Botero invece è diversa e non si limita alla denuncia inorridita. Anche per lui qualsiasi politica efficace richiede infatti la stessa tolleranza per le infrazioni legittime rivendicata da Machiavelli, con la differenza però che nella Ragion di Stato non sono i principi a potersi arrogare il diritto di venir meno alle leggi di natura e ai comandamenti della religione. Un poco come, nella riflessione sulla legittimità del tirannicidio, i giuristi più moderati avevano sostenuto che i cittadini non potessero agire da soli neanche contro un tiranno manifesto, limitandosi a sollecitare la sua punizione da parte dei poteri universali della Chiesa e dell’Impero, così Botero suggerisce che i governanti si facciano assistere in ogni decisione moralmente controversa da un «consiglio di conscienza nel quale intervenissero dottori eccellenti in teologia et in ragione canonica, perché altramente caricarà la conscienza sua e farà delle cose che bisognerà poi disfare, se non vorrà dannare l’anima sua, e dei successori» (II.15).

Sull’altro versante, nel riformulare in termini accettabili anche per la Chiesa la saggezza mondana del Principe e dei Discorsi, Botero punta a ricondurre la novità di Machiavelli nell’alveo tranquillizzante dell’Aristotele degli umanisti e dei teologi. Proprio come la Ragion di Stato, l’intero quinto libro della Politica era dedicato al problema della conservazione dei regimi (compresi quelli corrotti, come la tirannide). E Botero si direbbe muova soprattutto da qui: arricchendo con gli spunti originali del Principe e dei Discorsi un quadro di riferimento derivato per intero da Aristotele. A maggior gloria (e sicurezza) della Roma pontificia.

Aristotelico, però, non è solo il tema delle tecniche di sopravvivenza dei governi (una delle accezioni del termine ratio, da cui «ragione» deriva, è proprio «arte» ovvero, in greco, techne), ma l’intero paradigma di riferimento: l’insistenza su «pace» e «quiete» come fine; la scansione tripartita della società e l’invito a fondare sulla classe media; persino la riflessione sulle dimensioni «naturali» delle città... Sono tutti punti sui quali Machiavelli aveva clamorosamente rotto con Aristotele e i suoi seguaci quattrocenteschi puntando piuttosto sul conflitto, sulla contrapposizione frontale tra due estremi senza punto di equilibro, sul modello imperialistico di Roma. Come già Guicciardini prima di lui, Botero cerca invece di addomesticare il Principe e i Discorsi riportandoli a una tradizione più rassicurante e moderata. Con il risultato che, per effetto di un duplice ribaltamento, la Ragion di Stato risulta quasi sempre più vicina agli umanisti che non a Machiavelli, nello stesso momento in cui si allontana dagli uni e dall’altro e lancia un inedito progetto di governo delle anime e dei corpi nel segno della Controriforma.

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Giovanni Botero, Della ragion di Stato, a cura di Pierre Benedittini e Romain Descendre, introduzione di Romain Descendre, Einaudi, Torino, pagg. 426, € 80