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Dossier La grande crisi chiude l’Europa negli orizzonti nazionali

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Dossier | N. 19 articoliI 150 anni del Sole 24 Ore

La grande crisi chiude l’Europa negli orizzonti nazionali

Del Ventesimo secolo si dice che abbia suscitato tutte le più grandi speranze che l’umanità abbia mai avuto, ma che poi abbia cancellato tutte le illusioni. Eppure, osservava Leo Valiani, se si preserva la libertà, anche dopo tante distruzioni si riesce ogni volta a ricominciare da capo. Il secondo decennio del Ventunesimo secolo, con la peggiore crisi economica degli ultimi 80 anni, sembra completare il lavoro distruttivo del secolo precedente e chiama in questione proprio le infrastrutture delle società liberali che solo pochi anni prima apparivano come vincenti in quella che Fukuyama definiva la fine della storia.

Economie aperte, promesse di benessere crescente, globalizzazione degli individui, dei commerci e dei capitali, fiducia nella razionalità dei mercati e di ogni attore economico. Tutto viene messo in dubbio dal collasso del sistema dei debiti crescenti su cui si basava il capitalismo e dalla prospettiva di stagnazione secolare. In Europa, il senso di disillusione si aggrava nel 2010 con l’incrinarsi dell’ “EU-topia” sovranazionale, cioè di una risposta solidale di popoli, prima incessabilmente ostili, alla necessità di governare insieme la globalizzazione secondo valori europei. In Italia la crisi precipita su un terreno sociale sfibrato dalla sfiducia di tangentopoli, da condizioni di lavoro e di impresa gravose e dagli oneri ereditati di un alto debito pubblico.

La crisi rappresenta quindi un’eccezionale sfida intellettuale per il quotidiano economico italiano. La centralità dei temi economici, unica nel panorama mediatico, risponde allo sviluppo tumultuoso di fatti che sono principalmente finanziari o di governo dell’economia. Si confronta con dinamiche politiche interne che non hanno però solo carattere sovrastrutturale: tra il 2010 e il 2016 cambiano quattro governi e cinque ministri delle Finanze, inoltre le condizioni finanziarie avverse – gli spread – limitano i margini d’azione fino quasi ad azzerarli. Gli equilibri di potere interno diventano fragili e furiosi al tempo stesso.

In tutto il mondo la natura globale delle difficoltà economiche crea dei meccanismi di difesa nei sistemi mediatici nazionali. Negli Stati Uniti i giornali smettono già nel 2010 di parlare dei problemi causati da Wall Street al mondo intero. In Gran Bretagna nemmeno si accenna alle responsabilità della City nell’esportare a tutta Europa il malcostume finanziario. In Germania si diffonde una narrazione dell’Europa nella quale i contribuenti tedeschi hanno il ruolo di vittime di partner subdoli. La crisi globale evidenzia la stranezza di mezzi di informazione esclusivamente nazionali, che diventano riflesso di narrazioni politiche anch’esse esclusivamente nazionali, pur in un contesto globale.

L’assenza di una “sfera pubblica” europea rende i giornali attori irresponsabili di un consenso fittizio contro tutto ciò che è esterno. Con il lettore si stringe una “conventio ad excludendum”. L’altro è o Piigs, o nazi. L’Europa finisce per essere “lenta”, “ingiusta”, “impotente”, “incapace”, “ostile”, “muta”. Inevitabilmente i movimenti di opinione nazionalisti si riaffacciano dopo 70 anni.

La chiusura dei confini narrativi – una sorta di protezionismo del consenso – si consolida attorno alla difesa degli interessi nazionali. Le banche – il caso più eclatante avviene a Francoforte – vengono difese dai media con omertà o un linguaggio che prefigura costantemente il pericolo che viene da fuori confine. Per gli osservatori critici nei giornali si apre una fase in cui un linguaggio anti-establishment nasconde in realtà il conformismo nazionalista.

Può sembrare impossibile in questo contesto rispettare la tradizione critica e liberale del Sole-24 Ore. Ma la libertà non è un ideale, è un metodo. Nel caso di un quotidiano economico è un metodo di lavoro e un linguaggio fattuale. Tutti i giorni, la libertà del giornale si misura nell’esercizio critico con cui deve togliere il velo ai fatti e renderli giudicabili dal lettore. E’ partendo solo da questo spirito che anche dopo ogni distruzione è possibile ricominciare.

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