Titolo a nove colonne in prima pagina: «È nato l’euro, adesso tocca all’Europa». Il 2 gennaio 1999 Il Sole-24 Ore salutava così l’arrivo della moneta unica, scegliendo di andare oltre cronaca ed esaltazione di una giornata storica per indicare anche l’urgenza di un serio impegno per il futuro: un nuovo programma per fare l’Europa fino in fondo, perché una moneta senza Stato, un’unione monetaria senza unione economica e politica sarebbe stata altrimenti una creatura fragile, esposta a tutti i venti e tempeste: dei mercati, delle 11 politiche nazionali dei suoi Stati membri, del mondo globale.
Niente di nuovo. Solo la conferma del Dna di un giornale che, insieme al mondo industriale italiano, ormai da decenni aveva investito molto sulla ruota della roulette europeista e dopo aver già incassato diverse vittorie, anche insperate, ora con estrema coerenza puntava sull’en plein.
«Meno male che ci siete voi a informare con metodo e continuità su quello che succede a Bruxelles»: questo ricorrente ritornello era la risposta soddisfatta dei lettori di un quotidiano politico, economico e finanziario che si voleva e si vuole sempre al loro servizio ma con un’attenzione particolare a fatti e dinamiche europee. E non per caso. Quando a metà degli anni ’80 la Comunità europea, si scosse da un lungo torpore per fare in sette anni il mercato unico, varato il 1 gennaio 1993, e poi in altri sette la moneta unica, che sarebbe entrata però nelle tasche degli oltre 200 milioni di suoi cittadini solo tre anni dopo, Il Sole decise di cavalcare entrambe le grandi crociate integrative scommettendo sul loro successo.
Con una convinzione: sarebbero state cruciali per dare una spinta decisiva alla modernizzazione dell’Italia, un paese chiuso e contraddittorio, da sprovincializzare con un bagno vivificante nel mercato europeo e internazionale. E con una felice intuizione: molto presto l’Europa non sarebbe stata più una confusa realtà là fuori che si poteva anche ignorare. La crescente integrazione di norme, standard e politiche varie per fare il mercato unico prima e poi la lunga corsa verso la moneta unica, la guerra ai deficit pubblici, all’inflazione nonché alla dipendenza della Banche centrali, l’avrebbero presto resa una presenza sempre più immanente e imprescindibile nella vita del paese. Meglio conoscerla e farla conoscere bene, dunque, prenderne le misure, anche per far posto alla tutela degli interessi nazionali.
Con questo spirito e questi obiettivi, a cavallo tra gli Anni ’80 e ’90, il Sole si lanciò in un’iniziativa allora pionieristica: il supplemento Europa, un settimanale di approfondimento normativo, economico, politico e culturale per dare la sveglia sulla grande rivoluzione continentale che maturava. Non nelle parole ma nei fatti. E che inevitabilmente avrebbe rivoluzionato anche l’Italia, le sue strutture, la sua economia, la sua industria, la sua finanzia e la sua politica. La febbre europea del giornale non è mai venuta meno. Al contrario l’impegno si è accentuato man mano che l’avvento dell’euro, l’entusiasmo dei suoi primi anni con il vento in poppa, l’allargamento da 11 a 19 monete e poi il gelo della grande crisi, dal fallimento di Lehman Brothers ai rischi Grexit e Brexit, non hanno cessato di confermare la lungimiranza della sua scelta editoriale. L’Europa di oggi, sfilacciata, nazionalista e piena di muri al proprio interno è una creatura irriconoscibile rispetto a quella descritta da Carlo Azeglio Ciampi quel 1° gennaio 99: «È la prima volta nella storia che, per libera scelta, un numero così grande di paesi si dà una moneta unica: segno di pace, la prova concreta dell’impegno solenne assunto dai popoli europei di vivere insieme». Ci si guarda in giro, il panorama è sconfortante. Forse ci vorrebbe un po’ di nostalgia del passato per reinventare il futuro. Con il Sole in prima linea per raccontarlo. Qualunque cosa succeda.
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