Cultura

Senza animali non si fa ricerca

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Senza animali non si fa ricerca

La recente notizia che l’Europa ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, a causa di un’interpretazione troppo restrittiva della direttiva europea che regolamenta la cosiddetta «sperimentazione animale», non stupisce la comunità scientifica. Avevamo infatti già evidenziato le pesanti conseguenze che il decreto legislativo di recepimento (26/2014) avrebbe avuto sulla ricerca scientifica e sulla competitività dei nostri ricercatori, con evidente danno per i destinatari della ricerca stessa, cioè i cittadini del nostro Paese.

Tutto ciò a causa di una sorta di compromesso politically correct all’italiana per mediare tra le esigenze oggettive della scienza e le richieste soggettive degli animalisti che pretendevano di abolire tout court la sperimentazione animale. Peccato che nessuno abbia considerato le implicazioni di tale compromesso, stigmatizzate dalla reazione dell’Europa. Emblematici in tal senso sono il divieto di trapianto di organi e tessuti umani in modelli animali, che penalizza importantissimi filoni della ricerca medica, il divieto di utilizzare gli animali per più di una procedura di test, che impone necessariamente un incremento del numero degli animali coinvolti, e il divieto di allevamento di alcune specie, aggirabile peraltro importando i medesimi animali dall’estero.

Quest’ultima “perla” ricorda tanto il divieto di utilizzare per ricerca gli embrioni soprannumerari italiani, altrettanto aggirabile importando dall’estero cellule staminali di derivazione embrionale. Cui prodest tale macchinoso, se non ipocrita, approccio? Se ne facciano una ragione gli animalisti di questo Paese: la sperimentazione animale non può essere eliminata, è parte integrante dei percorsi di approvazione di tutti i farmaci (inclusi quelli innovativi a base di cellule staminali), è essenziale per il progresso della scienza ed è fondamentale per la tutela dei cittadini.

L’Europa ci sta dicendo che con il recepimento restrittivo della direttiva il nostro legislatore ha perso di vista la tutela della salute, che è la ragione per cui la sperimentazione su modelli animali viene condotta. La smettano, una buona volta, gli animalisti di parlare in maniera strumentale e demagogica di vivisezione. La vivisezione è già vietata! Tanto che l’Europa ha rigettato l’iniziativa Stop vivisection firmata da oltre un milione e duecentomila europei, di cui 750.000 italiani (dimostrando tra l’altro, se ancora ce ne fosse bisogno, il nostro basso livello di cultura scientifica). Le sperimentazioni animali non sono quelle che i vari movimenti animalisti sventolano come bandiere delle loro campagne ideologiche, in cui immagini raccapriccianti di animali sottoposti alle peggiori torture vengono strumentalizzate per raccogliere denaro e consensi.

Nessuno pretende di utilizzare animali in laboratorio indiscriminatamente e senza che ce ne sia strettamente bisogno, considerato che da molto tempo qualsiasi ricerca non può non tener conto del cosiddetto «principio delle 3R». Ovvero, ogni ricercatore deve cercare di: «Rimpiazzare» il modello animale con metodologie alternative (cioè per il momento in pochissimi casi e non certo per ricerche farmacologiche in cui si indaga il meccanismo di azione e di interazione dentro un sistema vivente complesso), “Ridurre” il numero di animali utilizzati e “Rifinire”, e quindi migliorare, le condizioni sperimentali a cui sono sottoposti gli animali (che vengono già allevati in stabulari certificati e accredidati da personale altamente specializzato e impiegati da ricercatori che hanno a cuore il loro benessere anche più dei comuni cittadini, se non altro perché più gli animali vengono rispettati più i dati che si ricavano dagli esperimenti risultano veritieri).

Tutto questo era già previsto dalla direttiva europea. Bastava limitarsi a recepirla come hanno fatto gli altri Paesi. Non ci sono quindi evidenze scientifiche della possibilità di sostituire la sperimentazione animale con metodi alternativi. Le ragioni ideologiche basate sul rifiuto della vivisezione, che trova concordi anche i ricercatori, sono prive di fondamento. Rimangono aperte solo le questioni etiche, più variegate e soggettive. E su queste mi vorrei soffermare, in vista anche di una possibile e auspicata attività di revisione del decreto da parte dei nostri legislatori, che la stessa Europa ci chiede per non incorrere nella suddetta procedura di infrazione.

Premesso che mi rifiuto di prendere in considerazione la possibilità di sperimentare direttamente sull’uomo farmaci che non abbiano già provati livelli di sicurezza, mi chiedo: a fronte di migliaia di roditori e altri piccoli animali che vengono soppressi dalle nostre amministrazioni comunali durante le campagne di disinfestazione e da noi cittadini stessi quando utilizziamo esche e altri accorgimenti per evitare di avere nelle nostre case sgraditi coinquilini, è più etico utilizzare animali per salvare migliaia di vite umane (come è stato fatto già prima del ’900 con i vaccini e nel secolo scorso con gli antibiotici e i farmaci salvavita che tutti noi oggi utilizziamo, animalisti compresi) o smettere di produrre farmaci e rinunciare a curare le malattie? Non vedo alternative, a meno che gli animalisti (e i loro parenti) non vogliano proporsi come cavie al posto degli amati quadrupedi.

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