1 Prologo
(per una definizione di intelligenza)
«And the sign said, “The words of the prophets are written on the subway walls And tenement halls./ And whispered in the sounds of silence”» - Simon & Garfunkel
Non so se i propri figli siano un test attendibile dal punto di vista della riflessione antropologica sul proprio tempo. Con loro non siamo mai neutrali né obiettivi. Tendiamo a idealizzarne le reazioni, o, in altri casi, a giudicarle con troppa severità. Però qualche anno fa mi colpiva il commento di mio figlio, ventenne, dopo aver avuto un ospite a cena. Non si chiedeva se le sue idee fossero giuste o sbagliate, condivisibili o invece censurabili. Si interrogava piuttosto sulla persona, sulla sua autenticità, su come esprimesse le sue idee attraverso il modo di parlare, sul suo concreto modo di testimoniarle con il comportamento, sulla sua attitudine ad ascoltare. Mi sembra di cogliere in ciò un elemento che caratterizza una nuova, interessante sensibilità affiorata nel presente, e che ha ispirato la riflessione delle prossime pagine. Nei Fratelli Karamazov Alésa si chiedeva perplesso quale “scienza” fosse l’etica, di cui si cominciava a discorrere nei salotti in Russia. Non lo sappiamo bene neanche oggi, però sappiamo che una dimensione etica - per quanto dispersa - tende ad affermarsi sempre più spesso sull’ideologia, e che l’impegno individuale nel quotidiano (sia che riguardi l’educazione civica, la dieta alimentare o la deontologia professionale) prevale sull’impegno collettivo legato a fini troppo lontani.
Ma chiediamoci: davvero è cominciata l’era del postumano - della fine di civiltà, della cancellazione definitiva del passato - , annunciata da scienziati sociali innamorati dell’apocalisse? (…) La mia obiezione nei confronti delle loro diagnosi nasce da una premessa forse ancora più pessimista: il cosiddetto postumano, almeno in Occidente, è in realtà cominciato da molto tempo - diciamo dalla Prima Guerra Mondiale, che suggerì l’equazione modernità uguale terra desolata - , e poi si è manifestato compiutamente con l’invenzione della Bomba, fiore avvelenato del XX secolo, con la riduzione della cultura a ornamento - capace di coesistere con la barbarie - e della razionalità a mero calcolo, insomma con il tradimento dell’umanesimo da parte di se stesso. Mi ha sempre colpito che prima della Grande Guerra la stragrande maggioranza degli intellettuali in Europa fosse a favore della guerra e coltivasse retoriche di tipo bellicista (…). Forse da allora l’umanesimo ha cominciato a negare se stesso generando in molti una diffidenza verso la cultura stessa, che si protrae fino ai giorni nostri. Nel 1944 Alberto Savinio denunciava lo scadimento della retorica antica, una tecnica in sé neutra che nel presente coincide ovunque con una “sproporzione tra parola e realtà”. La cosiddetta “educazione liberale” (propria di ogni uomo libero) che dall’antichità classica rimbalza fino al Rinascimento ha smesso di influenzare la vita quotidiana in Occidente. Perfino la rivolta del ’68 ha involontariamente alimentato quella sproporzione tra paola e realtà, contribuendo alla formazione di una generazione di retori, abilissimi a usare la parola in assemblea e a difendere aggressivamente i propri diritti. E a usare la cultura per fini impropri, come strumento di potere e carriera. Inoltre: credo che oggi si annuncino alcuni - flebili, ma concreti - segnali di resistenza al postumano (e al disumano). Vorrei suggerire una sobria definizione di intelligenza, che in Italia a differenza di altri paesi europei (Spagna, Germania…), suona in modo quasi esotico: relazione tra ciò che uno dice e ciò che uno fa. Quel tale cioè è intelligente perché vivendo le proprie idee dimostra di averle capite davvero. Aggiungo che cultura è fondamentalmente pensare: abitudine a pensare da soli, a pensare criticamente, è sviluppare idee e condividerle. Non è ingurgitare tanti libri, maneggiare il gergo d’avanguardia, avere sempre a disposizione la citazione multiuso, possedere una erudizione sterminata, memorizzare cose che già sono disponibili su qualsiasi schermo. Anzi: la cultura non si “possiede”, proprio come nella vita non si possiede niente. Si possiede invece il “culturalismo”, che è un’altra cosa (appunto: gergo di moda, cultura come consumo chic e simulazione di pensiero problematico). In questo senso la nostra non è affatto un’epoca incolta e i giovani non sono apatici e intellettualmente pigri. Casomai mi appaiono, nel bene e nel male, “indaffarati”, come tenterò ora di spiegare.
2 indaffarati
(…)
Nella mutazione in atto non solo le nuove generazioni ma ciascuno di noi è continuamente “indaffarato”, intento a inviare o decifrare ansiosamente un messaggio, a dialogare e informarsi, a connettersi full time, a verificare una notizia, a cercare un riscontro, a controllare una citazione. Da un lato rischia così di perdere la fondamentale esperienza della solitudine e dell’ozio contemplativo (la sua stessa libertà ne viene limitata: non è più “libero” di annoiarsi o perfino di dimenticare qualcosa…), subisce ritmi imposti dall’esterno diventando un “forzato” della comunicazione, si disperde in un caleidoscopio di identità provvisorie, è sempre altrove. Però dall’altro si mostra “indaffarato” anche perché impegnato nel fare concreto, nello scambiare e nel condividere, nel collaborare e nel cooperare, nel mettere in pratica le proprie idee, nel tradurre le parole in stili di vita, nel testimoniare una propria fede con il comportamento, nel dimostrare così di aver capito davvero i libri (pochi o molti) che ha letto. La tradizione culturale - sfinita da un senso di impotenza - forse emigra dai suoi luoghi deputati, da università e biblioteche, da riviste e convegni. L’umanesimo, svuotato dal secolo breve delle guerre mondiali e dei genocidi pianificati, viene collaudato - a volte inconsapevolmente - nella vita quotidiana, e le sue promesse sono scritte sui muri della metropolitana, negli androni dei palazzi, o sussurrate nel “suono del silenzio”, come cantavano Simon & Garfunkel.
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Vi anticipiamo un brano di «Gli indaffarati» (Bompiani, Milano, pagg. 174, € 12) che verrà presentato a Roma martedì 10 Feltrinelli Galleria Sordi ore 18, con Antonio Pascale e Nadia Terranova, al Salone di Torino sabato 14 maggio (alle 11) con Paola Mastrocola, Piero Dorfles e Giuseppe Culicchia