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Buona la prima al Festival di Cannes: applausi per Woody Allen

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Buona la prima al Festival di Cannes: applausi per Woody Allen

Buona apertura per il Festival di Cannes 2016: convince, seppur senza entusiasmare, «Café Society» di Woody Allen, scelto come film inaugurale della sessantanovesima edizione della kermesse francese.

Ambientato negli anni Trenta, «Café Society» ha per protagonista un ragazzo appartenente a una famiglia ebrea di New York che decide di partire per Los Angeles e tentare la strada del cinema: vuole diventare un agente di Hollywood, ma la via per il successo sarà ricca di imprevisti.

È la quarta volta che Allen apre le danze del Festival di Cannes: dopo il film a episodi «New York Stories» (1989), diretto insieme a Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, l'autore americano era stato scelto per calcare per primo il tappeto rosso della Croisette nel 2002 con «Hollywood Ending» e nel 2011 con «Midnight in Paris».
Ed è proprio con «Midnight in Paris» che ha molto in comune «Café Society», pellicola leggera ma dai toni malinconici che racconta con garbo ed eleganza un passato a cui si guarda con una certa nostalgia.

Inserito fuori concorso, «Café Society» soffre di qualche cliché di troppo nella rappresentazione del classico ragazzo di belle speranze che tenta la fortuna all'interno della Mecca del Cinema e anche la storia d'amore lascia a desiderare in quanto a originalità. Eppure, nonostante questi limiti, il ritmo, le battute al vetriolo e i siparietti più spensierati lo rendono un lungometraggio brioso, efficace nella messa in scena della Hollywood del periodo, capace di intrattenere per buona parte della sua durata e dotato di alcuni momenti fortemente divertenti.

La malinconia, però, prende spesso il sopravvento, a partire da un azzeccato finale in montaggio alternato che si spegne sui volti e sui pensieri dei due protagonisti, Jesse Eisenberg e Kristen Stewart.

Se la narrazione funziona a fasi alterne, a colpire è soprattutto l'elegante apparato visivo affidato all'italiano Vittorio Storaro: il grande direttore della fotografia tre volte premio Oscar (per «Apocalypse Now», «Reds» e «L'ultimo imperatore») ha donato al film un'atmosfera sinuosa e suggestiva, capace di trasportare gli spettatori di oggi nella Los Angeles (e nella New York) degli anni Trenta, optando per una marcata cura dei dettagli e per una ricostruzione complessiva (quasi) impeccabile. Menzione speciale, in particolare, per una notevole sequenza in cui le luci si spengono e rimangono soltanto delle candele a illuminare la scena.

Niente male davvero, anche e soprattutto se confrontato con le due precedenti, insignificanti aperture di Cannes: «Grace di Monaco» di Olivier Dahan nel 2014 e «A testa alta» di Emmanuelle Bercot nel 2015.

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