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I paradossi ebraici di Primo Levi

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JUDAICA

I paradossi ebraici di Primo Levi

Primo Levi (AFP Photo)
Primo Levi (AFP Photo)

Il tono autobiografico non deve trarre in inganno. I colori di questa epopea minore sono infatti largamente immaginari e i personaggi trasformati con stupore quasi infantile. «Zia Abigaille, che da sposa era entrata in Saluzzo a cavallo di una mula bianca, risalendo da Carmagnola il Po gelato», oppure «l'Ingegné, noto a tutti i salumai perché verificava con il regolo logaritmico la moltiplica del conto del prosciutto», e ancora “la Strassacoeur”, figura di agghindata, minuscola ammaliatrice. Il microcosmo ebraico piemontese, schizzato da Primo Levi nel breve racconto Argon, colpisce innanzitutto per il tono sorridente e per un'ironia nient'affatto autocelebrativa.
In una piega della narrazione, Levi si concede una profonda seppur rapida dichiarazione di poetica: «L'uomo è centauro, groviglio di carne e di mente... Il popolo ebreo ha vissuto a lungo e dolorosamente questo conflitto, e ne ha tratto, accanto alla sua saggezza, il suo riso, che infatti manca nella Bibbia e nei Profeti». È come se lo scrittore, celebrato per la scabra testimonianza di Se questo è un uomo, avesse voluto misurarsi con un diverso registro espressivo, andando in cerca delle proprie radici nel paesaggio contadino e piccolo borghese di un Piemonte ancora intimamente pre-moderno.

Naturale allora la scelta di lasciar scorrere questi “ricordi” in gran parte attraverso il filtro del giudeo-piemontese, zona d'incontro tra vecchissime parole ebraiche e i suoni del dialetto locale. Come se si trattasse di un yiddish in scala ridotta, Levi fruga nel gergo ebraico per riportare alla luce soprannomi, modi di dire e, attraverso di questi, frammenti di una visione del mondo. Così Argon è popolato di barba e magne, ovvero di zii e zie, più che gradi di parentela veri e propri connotati di autorevolezza degli anziani della comunità. «Savi patriarchi tabaccosi e domestiche regine della casa», li definisce Levi, che dai loro nomignoli srotola storie fulminee d'infedeltà, gelosie, improvvise ricchezze e lente decadenze.
In un affettuoso omaggio a Levi, Alberto Cavaglion ha voluto offrire una guida essenziale per chi fosse interessato a visitare Argon, paese che ormai non esiste più nella realtà, o forse è nascosto tra le memorie, i motti di spirito e le antiche usanze di una minoranza tenace. Accanto a una breve storia degli ebrei in Piemonte, e dei loro legami con la Provenza e la più lontana Spagna, Cavaglion divaga tra affioramenti di lessico dialettale e ritratti di ebrei anomali. Sono figurine da accostare a quelle evocate da Levi, che spesso completano l'inventario di quotidiani paradossi, raccolti da una diaspora che del paradosso non si fidava affatto.

Si ha modo così d'incontrare un Sansone Valobra da Fossano, inventore dei fiammiferi, o un Samuele Levi, egittologo ebreo torinese di fama internazionale, che escogita un sistema segreto di geroglifici per nascondere le proprie avventure di Casanova del ghetto. Ma anche i protagonisti ebrei del Risorgimento piemontese e i socialisti come Gustavo Sacerdoti, giornalista del movimento operaio, sfilano per le strade fittizie di Argon.
Il principio che ispira questo Baedeker del giudaismo sabaudo è quello stesso già enunciato da Levi in un ennesimo guizzo d'ironia, e cioè l'espressione bahalòm, “in sogno”. Nella parlata giudeo-piemontese era questo un piccolo segno d'intesa, per far capire al partner, senza che gli altri se ne accorgessero, che tutto quanto era stato detto valeva esattamente come il suo contrario, come se si fosse trattato del mondo rovesciato dei sogni. Ma poiché niente è più serio dei sogni, eccoci pronti a partire per Argon, bahalòm.

Alberto Cavaglion, «Notizie su Argon. Gli antenati di primo Levi
da Francesco Petrarca a Cesare Lombroso», Instar Libri, Torino,
pagg. 150, € 12,00.

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