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Il senso in cerca di un riferimento

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Scienza e Filosofia

Il senso in cerca di un riferimento

Siete a un cocktail party e conversate del più e del meno con un tizio che a un certo punto afferma con aria sicura: «Nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie!». In realtà, per quanto ne sapete, le galassie potrebbero essere un miliardo oppure mille miliardi; però vi viene detto che il tizio è un celebre cosmologo e dunque capite che potete fidarvi della sua affermazione. Se a questo punto qualcuno vi domandasse se l’affermazione che nell’universo ci sono cento miliardi di galassie è vera, voi potreste rispondere con sicurezza che lo è. Se poi, però, vi chiedessero perché quell’affermazione è vera, navighereste nel buio: rispetto a questo tema continuereste a saperne infinitamente meno di un cosmologo, di un astronomo o di un fisico.

Nulla di strano, ovviamente. Più sorprendente, però, è che ci sia anche un’altra categoria di esperti che, per ragioni del tutto diverse, ne sa molto più di voi sul perché quell’affermazione sul numero delle galassie è vera: i filosofi del linguaggio. Tra le questioni indagate da questi esotici studiosi, infatti, c’è quella di stabilire cosa, in generale, faccia sì che le nostre affermazioni sul mondo possano essere vere; cioè, come sia possibile che il linguaggio si agganci così bene al mondo. Pensiamoci un momento: poche piccole macchie d’inchiostro vi hanno immediatamente fatto pensare alle galassie, anzi a miliardi di galassie – la sterminata maggioranza di cui ci è assolutamente inaccessibile da ogni punto di vista. Che tipo di relazione rende possibile un tale miracolo?

Questa è una questione semantica. I filosofi se ne occupano dai tempi di Platone, il quale nel Cratilo, dialogo celeberrimo, si chiese come possano le singole parole riferirsi alle cose per poi concludere, come suo solito, che nessuna risposta era plausibile. In seguito i filosofi hanno continuato a gingillarsi su questa questione senza grandi risultati (a parte le finissime analisi della tarda Scolastica) sino a quando, a fine Ottocento, Gottlob Frege avanzò un’influentissima proposta, sviluppata poi da Bertrand Russell e Rudolf Carnap. Secondo Frege, il riferimento dei termini linguistici (ciò a cui quei termini rimandano) è determinato dal loro senso ossia dal particolare modo in cui quel particolare riferimento ci è dato. Per fare un esempio, i due termini «L’autore della Cognizione del dolore» e «L’autore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana» hanno due sensi diversi che determinano lo stesso riferimento, cioè Carlo Emilio Gadda.

La teoria di Frege è stata a lungo egemone tra i filosofi del linguaggio, sinché tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta è stata criticata con argomenti molto convincenti da alcuni filosofi – in particolare Keith Donnellan, Hilary Putnam, Saul Kripke e David Kaplan – che hanno studiato in modo nuovo e fecondo (pur senza offrire una teoria unitaria) il rapporto tra linguaggio e mondo. In questa prospettiva, oggi molti filosofi pensano che il riferimento dei termini linguistici sia determinato, almeno in parte, dalla storia causale che lega quei termini al mondo esterno; e ciò, si noti, anche se i parlanti sono del tutto ignari di tale storia. Così, per riprendere un esempio di Putnam il termine «acqua» si è sempre riferito all’H2O: anche prima, dunque, che i chimici scoprissero che l’acqua è composta di ossigeno e di idrogeno.

Negli ultimi decenni, lo studio del significato è stato rivoluzionato. Ma sono sorti anche nuovi problemi teorici, come mostra un volume molto importante, On Reference, da poco curato per Oxford University Press da Andrea Bianchi, professore di Filosofia del linguaggio a Parma, che è anche autore di una sapiente introduzione e di un saggio contenuto nel volume. Tutti i contributi presenti in questo volume sono di grande rilievo: e basterà qui ricordare quelli di Michael Devitt, Delia Fara, Diego Marconi, Genoveva Martí, John Perry e Marco Santambrogio. Per chi, nei prossimi anni, vorrà orientarsi nella discussione contemporanea sul riferimento dei termini linguistici questo testo sarà ineludibile.

Tra le questioni di maggior rilievo discusse in questo volume c’è il nesso che lega la semantica alla pragmatica ossia la disciplina che studia le condizioni d’uso dei termini linguistici. Se foste interessati a questi temi, e agli altri propri della filosofia del linguaggio contemporanea, avete ora una ghiotta occasione: potete infatti recarvi dal 16 al 19 maggio a Palermo, dove si terrà un gigantesco convegno dall’insolito titolo «Pragmasophia», che vedrà la partecipazione di ben 20 keynote speakers e 27 invited speakers, tra cui molti dei maggiori filosofi del linguaggio della galassia.

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