Va bene. Forse è un modo originale di guardare ai libri, forse lo spirito bibliofilo può placarsi di tanto in tanto, forse, ancora, è meglio allargare lo sguardo e il pensiero per non fare mostre troppo settoriali, troppo chiuse, troppo per “addetti ai lavori”. Eppure, la mostra «Aldo Manuzio il Rinascimento di Venezia», fino al 19 giugno alle Gallerie dell’Accademia (a parte il fatto che è scorretto non poter comprare il biglietto per la sola mostra e dover comprare quello da 15 euro per tutte le Gallerie anche se non le si vuole visitare...) qualche perplessità me l’ha lasciata. «Si potrebbe obiettare che è pretestuoso affrontare il tema di Manuzio e le arti, considerati i suoi predominanti interessi di grammatico e la sua scarsa passione per i libri illustrati», ammettono, del resto, i curatori all’inizio del catalogo – che, invece, giudico bellissimo ed è un libro destinato a rimanere, per la qualità dei contributi e delle schede. È che a me è sembrato che in questa mostra – che, è vero, mette la produzione editoriale aldina all’interno di un sistema culturale complessivo – manchi nell’omaggio al vero genio di Aldo. La cui lezione si è manifestata, in maniera sostanziale, in un oggetto: sua maestà il libro. Che lui ha riprogettato, previsto, ripensato in una maniera tale solo dopo qualche anno dall’invenzione dei caratteri mobili che lo ha proiettato in un futuro che ancora oggi, a secoli di distanza, ci fa apparire futuristici i suoi manufatti. Aldo è stato un designer eccelso. E avrei voluto vedere che so torchi e matrici, legni e caratteri (di Griffo e del corsivo si parla davvero troppo poco), avrei voluto respirare l’odore degli inchiostri e della carta, avrei voluto vedere bulini, punzoni e strumenti tipografici. Avrei voluto, insomma, più Aldo. Più... libro. Intendiamoci: una mostra così non capita tutti i giorni. L’ho vista e percorsa più volte e ci sono pezzi che tolgono il fiato. Ecco il Polifilo, peraltro “impaginato” con un intervento moderno e filologicamente notevole, ecco oggetti, statue, dipinti, senz’altro interessanti. Ma il fatto è che se non c’è qualcuno che non vi trattiene per mano e vi spiega per bene cosa state vedendo la possibilità che i libri “raccontino” sono di certo inferiori, per esempio, all’oggettiva bellezza del dipinto di Flora di Bartolomeo Veneto che, non a caso, è l’ iconica faccia dell’esposizione. Io, sarà banale, avrei messo delfino e ancora, un carattere corsivo, una pagina perfetta. Perché c’è, eccome, l’emozione quando trovi il libro su carta azzurra, il De Re Rustica (1514), qui nell’unico esemplare intero su questo supporto. Elegantissimo e ultracontemporaneo: una lettera scritta da Aldo a Tschichold o Lustig. O l’esemplare unico a margini non rifilati pervenutoci da quel tempo: il De Aetna di Bembo (1495) che ci dà la dimensione geometrica esatta di come erano quelle pagine. O la Retorica ad Erennio (1514) di Cicerone. In quarto e con il corsivo di Griffo. Elegante, nitido: vero. Il carattere perfetto, la veste grafica, il formato, snello, tascabile, risparmio sui costi di inchiostri e carta da imprenditore, equilibrio degli spazi, accessibilità a tasche meno abbienti. Ecco: anche qui, una lettera mandata ad Allen Lane, Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli con secoli d’anticipo. La vera lezione di Aldo. Ma forse è colpa mia. È che, come diceva qualcuno de li maggiori nostri, «non riesco a saziarmi di libri».
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