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Rilanciare il bello e la classicità

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Arte

Rilanciare il bello e la classicità

La mostra di Mitoraj a Pompei nasce da una promessa. O meglio, nasce dal sogno – un po’ folle, fou, come lo qualifica Jean-Paul Sabatié, Presidente dell’Atelier Mitoraj – di un grande artista, che ha trovato terreno fertile nell’animo di un uomo amante della cultura, delle felici contaminazioni e delle sfide. Quell’uomo sono io, e fui io a formulare la suddetta promessa, dopo aver incontrato Igor Mitoraj ad Agrigento, nell’ormai lontano 2011, in occasione della sua splendida mostra organizzata nella Valle dei Templi. Egli mi chiese di aiutarlo ad esporre le proprie opere a Pompei, forse il più visitato sito archeologico del mondo, permeato di suggestioni ancora palpitanti fra le celebri rovine: Mitoraj lo riteneva il luogo più adatto ad ospitare la sua arte, ed io mi dichiarai disponibile, imboccando di fatto la lunga strada che ci ha portato fin qui oggi.

L’unico rimpianto che connota questo evento, grandioso, è che proprio il Maestro Mitoraj non sia in grado di goderne. Egli purtroppo ci ha lasciato nel 2014, e voglio dunque pensare che questa mostra possa idealmente essere considerata come un tributo, un omaggio della Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo (nella cui Collezione Permanente è peraltro presente una sua opera del 2004, dal titolo Eros alato con mano) alla sua importante carriera e alla sua vita, che l’artista franco-polacco – popolarissimo a livello internazionale – aveva scelto di spendere proprio in Italia.

Una trentina di sculture monumentali in bronzo ripopoleranno, per quasi otto mesi, l’antica città di Pompei, emergendo come mitologici abitanti tra le case, i templi, le strade, in un legame armonioso che unisce la storia passata con l’arte contemporanea, la quale peraltro a quello stesso passato si ispira e di quella stessa storia si nutre.

L’opera di Mitoraj è infatti permeata di classicità, nei volumi, nelle forme, nella scelta dei soggetti, nella connotazione estetica, cosicché le vestigia della città vesuviana, sommersa da una pioggia di cenere e lapilli poco meno di due millenni orsono, sembrano quasi essere la naturale dimora di questi dolenti e muti giganti. È come se la scenografia di un teatro accogliesse la performance dei suoi attori. Un connubio già sperimentato nella Valle dei Templi di Agrigento, una simbiosi perfetta tra antico e moderno, resa ancora più credibile dalla caducità che promana da ogni scultura: troviamo così il Dedalo mutilato, l’Icaro che giace sulla propria ala spezzata, l’Eros senza testa… la magnificenza delle figure si accompagna alla loro vulnerabilità, in quanto ogni personaggio è spezzato, disarticolato, fatto a brandelli.

Le fratture che Mitoraj imprime alle proprie creazioni alludono – con una concezione di fatto modernissima – a ciò che Antonio Paolucci ha definito «il mistero dell’antico che si manifesta a noi per frammenti», attraverso i reperti… così come le rovine di Pompei non fanno che accentuare nello spettatore che percorre i suoi viali la sensazione di quella grandiosità che fu e che mai potrà tornare. Costantino Piazza scrisse del Maestro, poco prima della sua morte, che egli «in questi tempi di grandi conflitti politici, religiosi, economici e culturali si schiera dalla parte degli “eroi perdenti”, ovvero di coloro che eternamente fuggono verso la libertà», rappresentando in tal modo le sofferenze dell'Uomo contemporaneo.

Io aggiungo e concludo, spostando l’angolo visuale, che il richiamo alla cultura mediterranea classica, così evidente nelle sculture di Mitoraj, ci conferma che essa – come amo ripetere e come l’azione della Fondazione Terzo Pilastro costantemente testimonia – non è soltanto la chiave per superare le diversità e mettere in contatto fra loro popoli e civiltà lontani, ma anche un potente strumento capace di far dialogare i linguaggi artistici contemporanei con la storia di quel mondo da cui tutto ha tratto origine. E questa mostra, con la sua compiuta bellezza e per l’attrazione che sta provocando nelle più diverse aree del nostro Mediterraneo, ne è la più evidente prova.

Un piccolo rammarico: come detto, la mostra s’è potuta realizzare grazie all’intervento economico della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, e nasce da un’idea condivisa da me direttamente con il Maestro. Tuttavia – come accade di sovente in occasione di iniziative così prestigiose – molti, tra politici e funzionari, si attribuiscono la paternità di quest’esposizione tralasciando di evidenziare adeguatamente il ruolo svolto dalla Fondazione Terzo Pilastro.

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