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Belle Trappole di Penone

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Arte

Belle Trappole di Penone

Contemporaneo. Giuseppe Penone, «Spazio di luce» in mostra al Mart di Rovereto (Trento)
Contemporaneo. Giuseppe Penone, «Spazio di luce» in mostra al Mart di Rovereto (Trento)

Si entra nell’atrio del Mart e subito si avverte che lo spazio è mutato. Poi si nota che il grande invaso luminoso, normalmente vuoto, al centro del museo è trafitto da un tratto scuro, ramificato, che sale fino ai lucernari e sprofonda giù, nel basamento. E solo avvicinandosi si percepisce la natura di quella forma: è un albero (o meglio, il calco di un albero, tradotto nel bronzo) che Giuseppe Penone ha però spezzato a intervalli regolari per permettere di coglierne l’“anima” luminosa, rivestito com’è, all’interno, dalla luce astratta e carica di valenze simboliche dell’oro.

Il grande albero è l’incipit di una mostra emozionante: quella che il neo-direttore del Mart, Gianfranco Maraniello, ha voluto dedicare a Giuseppe Penone, uno dei fondatori dell’Arte Povera, che nel tempo ha saputo approfondire con coerente intensità il percorso avviato allora. Per realizzarla al meglio, insieme all’artista e al progettista del museo, Mario Botta, ha restituito alla zona espositiva dell’ultimo piano la sua vastità originaria, eliminando setti e tramezzi e ricavandone spazi giganteschi e nudi, quasi smaterializzati, poi, dalla luce naturale che piove dai lucernari non più oscurati.

Qui, le opere di questo autentico maestro, abituato a interloquire con la natura selvatica dei boschi e degli alberi in un dialogo tanto confidente e paritario da diventare quasi una fusione osmotica, hanno trovato una sede perfetta, in quella che si propone non come un’antologica, ma piuttosto come un’unica, grande installazione site specific: un’esperienza in cui arte e architettura s’intrecciano inscindibilmente.

Sono una sessantina le opere in mostra, scelte fra le più significative del suo percorso, ma concentrate soprattutto negli ultimi anni: installazioni, sculture, dipinti, disegni. Ad accomunarle sono i loro materiali, tutti naturali e “primordiali” come la creta, la grafite, i succhi vegetali («strofinare il verde del bosco» scrive Penone nei suoi appunti d’arte), il marmo apuano, il carbone e il cristallo di rocca (insieme, nelle splendide Trappole di luce, 1998), e il bronzo, materia che se non è naturale è però primordiale anch’essa, sempre modellata sulla corteccia degli alberi con il tramite della cera. Fino alle foglie, alle spine di acacia fittamente accostate in trame ispide e preziose, e al respiro dell’artista. È proprio con il suo respiro, infatti, oltre che con il peso del corpo adagiato su un cumulo di foglie di bosso, che Penone ha modellato Soffio di foglie, 1979, mentre la gigantesca immagine arborea di Le radici del verde del bosco, 1987, è ottenuta con la clorofilla. E con la creta stretta nel cavo della mano (e poi ingigantita), in uno dei gesti primari dell’umanità, ha modellato le sculture Avvolgere la terra, 2014. Nei marmi, poi, prende forma un’autentica simbiosi con il “corpo” della terra e con le sue energie, poiché in essi Penone evidenzia, a rilievo, le venature del masso come fossero davvero i vasi sanguigni di un corpo vivo (Anatomia 6, 1994; Pelle del monte, 2012), culminando nel gigantesco Sigillo, 2012, con la sua lastra di 20 metri di marmo di Carrara sulla quale scorre un cilindro le cui vene, a rilievo, sembrano essersi impresse sulla superficie piana come fosse cera: un’opera nella quale natura e cultura s’intrecciano inscindibilmente, perché la fonte cui Penone ha guardato sono gli antichissimi sigilli cilindrici babilonesi, da lui amati per il loro tempo ciclico, ritornante, come quello della natura.

Intanto, nel Parco basso della Reggia di Venaria Reale, presso Torino, le sette nuove sculture di Anafora si sono aggiunte da poche settimane alle 14 imponenti installazioni del Giardino delle Sculture Fluide da lui realizzato nel 2007 grazie a una collaborazione tra la Reggia e il Castello di Rivoli, che ora continua con questo nuovo intervento, curato dal direttore di quel museo, Carolyn Christov-Bakargiev.

Nell’area un tempo più sontuosa dei giardini seicenteschi, ricca allora di fontane, statue, specchi d’acqua, le sette nuove sculture di Penone (una di un muschioso legno fossile, le altre di bronzo, ma con filo spinato, una falce e altri materiali che rinviano al lavoro umano) occupano senza enfasi, in una felice e naturale sintonia, le grotte e le nicchie del muro di rustico laterizio che Amedeo di Castellamonte eresse per contenere il terrapieno della Corte d’onore, animandolo con un’alternanza di vuoti e di pieni e facendone così una scenografica quinta barocca. Restaurato di recente, il muro seicentesco non ospita più nei suoi vuoti le statue di allora, perdute, ma alloggia ora questi “frammenti di alberi”, posti in dialogo stretto con le opere antistanti, di marmo e bronzo (e acqua) del Giardino delle Sculture Fluide. A Torino, infine, sono appena stati festeggiati i cinque anni di In limine, la grande scultura-portale di marmo di Carrara, bronzo, tiglio ed edera posta all’ingresso della Galleria d’arte moderna, voluta dalla Fondazione De Fornaris per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e pensata dall’artista come «un segno che indichi il passaggio dalla spazialità della città alla spazialità sacrale del museo». Bisognosa di una pulitura, presto anch’essa andrà a Venaria, non nei giardini, però, ma nel Centro (d’eccellenza) di conservazione e restauro che si apre negli spazi della Reggia.

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