
È colpa del glitch. Così Lee Gates (George Clooney) spiega ai suoi spettatori il tracollo della finanziaria amministrata da Walt Camby (Dominic West), le cui azioni ha spinto a comprare fino al giorno prima. Lee conduce Money Monster, una trasmissione di informazione di borsa il cui successo è affidato alla sua gigioneria di imbonitore, e a un paio di ballerine. Niente di nuovo sotto i riflettori televisivi, a parte l’eclissi di ottocento milioni di dollari nel bilancio della società di Camby.
È un cantore entusiasta del denaro elettronico, il pimpante Lee. Oggi non si ha più a che fare con ingombranti lingotti d’oro, racconta in diretta mentre dalla regia lo guida Patty Fenn (Julia Roberts). Oggi, insiste giulivo, il denaro s’è fatto leggero e corre di server in server in forma di bit. E correndo si moltiplica da sé, si autoriproduce. Miracoli della finanza globale e della trionfante fede del “pubblico” degli investitori nei suoi meccanismi informatici. A meno che, inatteso, non ci si metta di mezzo un glitch.
Quasi tutto quel che accade, accade in tivù e davanti agli occhi di milioni di spettatori, in Money monster – L’altra faccia del denaro (Money Monster, Usa, 2016, 98’). Tratta da un racconto di Alan Di Fiore e Jim Kouf – che l’hanno sceneggiata con Jamie Linden –, la commedia/thriller di Jodie Foster inizia nello studio da dove va in diretta la trasmissione di Lee. In quello studio d’un tratto irrompe Kyle Budwell (Jack O’Connell). Per quanto agitato, il giovanotto ha le idee chiare. Puntandogli addosso una pistola, costringe il conduttore a indossare un giubbotto esplosivo. Nella finanziaria di Camby ho investito e perso sessantamila dollari, tutto quello che avevo, spiega a lui e a Patty. Ora, aggiunge, voglio sapere che cosa è davvero accaduto, e lo voglio sapere a telecamere accese, altrimenti salteremo in aria insieme. A Lee tocca dunque il compito di spiegargli come ottocento milioni di dollari siano stati inghiottiti in qualche secondo da un buco nel software che elabora le vendite e gli acquisti dei titoli di borsa, determinandone il valore.
Questo è, o sarebbe, il glitch, uno “slittamento” breve di un algoritmo, una piccola anomalia matematica da cui nasce una catastrofe finanziaria. Detto così, ben pochi fra gli spettatori/investitori di Lee ci capirebbero qualcosa. Ma non è necessario che capiscano, né che si spieghino come un algoritmo possa slittare. Necessario è invece che non capiscano. A loro deve bastare il suono di quella piccola parola, suggestiva ed esoterica. Se di un glitch si è trattato – questo devono credere –, niente si sarebbe potuto fare prima, e con nessuno ce la si può prendere dopo. Tanto basta, in fatto di trasparenza. E in fatto di trasparenza l’accorto Camby non è secondo a nessuno...
Rieccoci nello studio in cui Kyle interroga e Lee risponde. Sotto gli occhi sempre più numerosi degli spettatori – le tivù di tutto il mondo riprendono le immagini drammatiche mandate in onda da Patty –, l’imbonitore dà fondo al suo repertorio, a partire dal glitch. E però, spiegazione fasulla dopo spiegazione fasulla, lui stesso finisce per trovarsi patetico. Anche del suo entusiasmo per il denaro elettronico che si autogenera perde memoria. D’accordo con Patty, e soprattutto con Kyle, non gli resta che cercar di smascherare Camby.
Tutto quel che accade in Money Monster, accade in tivù, appunto. In tivù Lee ha spinto il credulo Kyle a comprare. In tivù Kyle pretende giustizia. In tivù il marcio viene alla luce. In tivù, o davanti alla tivù, Manhattan e il mondo intero parteggiano per i truffati contro i truffatori. E in tivù è smascherata la menzogna strutturale della tivù stessa, che per riprodurre se stessa ha bisogno di audience – cioè, di imbonitori e ballerine –, non di comunicazione. Ma è questo uno smascheramento di breve durata. Proprio quando il film finisce, Jodie Foster ci suggerisce che, chiuso il grande spettacolo di Kyle e Lee contro Camby, tutto per il “pubblico” tornerà come era, glitch compreso.
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