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Natura umana in «noir»

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Natura umana in «noir»

Nell'ultimo romanzo breve di Dag Solstad il protagonista prof. Andersen insegna letteratura ed è uno specialista di Ibsen: ha 55 anni e una buona carriera di docente stimato e ancora attivo. È un uomo normale, per così dire e la sua normalità sta anche nel rispetto delle tradizioni, al di là delle personali convinzioni religiose. In effetti, da agnostico, si prepara con scrupoloso piacere a celebrare il rito del Natale e, sebbene viva solo, ha preparato un albero e si è organizzato una cena secondo regole e consuetudini. Il punto di rottura nella sistematicità dei suoi rituali avviene quando, giusto la notte della vigilia di Natale dalla finestra del salotto affacciata sull’edificio di fronte assiste a un delitto: vede un uomo, a sua volta alla finestra di un appartamento strangolare una giovane donna. Il fatto, che lascia sgomento il protagonista, è in realtà per lo scrittore uno spunto su cui costruire l’analisi di una crisi di coscienza. Il professore, corso al telefono per chiamare la polizia, in realtà non riesce a darsi una ragione per comporre il numero e fare la doverosa denuncia che incastrerebbe l’assassino. Lo sviluppo narrativo di questo breve romanzo, per il quale è facile evocare La finestra sul cortile di Hitchock, si muove in una direzione molto diversa dalla tematica di un tradizionale giallo. È invece il segno di un’indagine sul sé, sulla relazione tra l’io e l’altro, da cui emerge una crisi di coscienza sui valori. Se l’uomo normale sa di dover denunciare un crimine di cui sia stato testimone, perché il prof. Andersen, uomo di sicuro culturalmente al di sopra della media, non riesce a fare un gesto così dovuto? Che meccanismo inibitore scatta nella sua coscienza? Da qui, seguendo il percorso di ansie e domande senza risposta che corredano i giorni seguenti il delitto, nasce una problematica ben più ampia: cosa davvero conta e quale e quanto duraturo il segno che l’uomo lascia dietro di sé? Qual è il concetto di memoria e quali i valori che lo sostengono? Arte e letteratura cosa sono nella memoria della società? Lo stesso, Ibsen per esempio, che il professore ha amato, facendone il perno della sua ricerca e un punto forte dell’insegnamento cui si dedica, quanto è ancora una traccia visibile del perdurare dei valori? Quanto la sua opera resta un valore? Come in altri romanzi di Dag Solstad, la vena autobiografica e una certa attenzione al rapporto tra il mondo dei giovani e quello consolidato della maturità si pongono in prima linea nel percorso narrativo e invadono il campo, a partire da piccoli gesti devianti, in questo caso l’incapacità di fare una denuncia di un omicidio di cui è stato testimone, per approdare a una analisi della coscienza dell’uomo oggi e della sua difficile conquista di solidità. Si adombrano ragioni filosofiche e domande di natura metafisica, il senso della libertà dell’individuo e il filo sofisticato di una riflessione sul diritto di giudicare, sulla necessità di giudicare, quando anche il giudizio non rende la vita all’ucciso e quindi non ha più una pratica ragione d’essere.

Nel gestire la storia di una crisi di coscienza, Solstad, che pur scrivendo in terza persona è in certo senso vividamente dietro e tra le righe della vicenda, mette a fuoco una società ben identificata, quella norvegese del suo tempo, e ne compone un quadro che, rimanendo fedele al dato sociale che delinea, si allarga a un orizzonte ben più vasto di quello scandinavo e racconta la crisi antropologica di una cultura. È stato anche altrove questo il suo tema preferito, sviluppato in modo a mio parere più ancora compiuto e affascinante in Tentativo di descrivere l’impenetrabile e in Timidezza e dignità, due romanzi che avevano una energia e una immediatezza più trascinanti. Qui è forse maggiore la suggestione teoretica rispetto alla presa emozionale della trama; ma ha di sicuro il pregio di saper convertire la solita dimensione poliziesca in un’indagine ben più radicale sulla natura umana.

Dag Solstad, La notte del professor Andersen, traduzione di Maria Valeria D'Avino, postfazione di Ingrid Basso, Iperborea, Milano, pagg. 166, € 16

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