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Viaggio-inchiesta nell’universo islamico

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Economia e Società

Viaggio-inchiesta nell’universo islamico

In bicicletta. Manifestazione di donne musulmane a Milano
In bicicletta. Manifestazione di donne musulmane a Milano

È un viaggio quello che Lilli Gruber ha intrapreso per capire la questione islamica che comincia ad assumere aspetti rilevanti anche nel nostro Paese, dove finisce inevitabilmente per essere letta alla luce di quello che essa già problematicamente rappresenta in nazioni con cui ci confrontiamo, cioè Francia, Gran Bretagna, Germania. Si tratta di un viaggio lungo due percorsi che scorrono paralleli anche nell’organizzazione intervallata dei capitoli: il primo esplora (il termine è assolutamente pertinente) la realtà dell’islam italiano; il secondo ricostruisce le grandi questioni che hanno oggi formattato, se così si può dire, la cultura e la vita degli islamici europei, cioè gli eventi internazionali che hanno visto protagoniste le terre in cui l’Islam ha una presenza storica dominante.

Non si sottovaluti questo secondo percorso. Capire cosa sia veramente successo in Libia, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Iraq, cosa abbiano significato le primavere arabe o la presenza di Al-Qaeda e dell’Isis, non è un dettaglio, è un dato fondamentale se si vuole aprire un confronto con quel misto di riscoperta delle identità e di spaesamento mitico che affligge le comunità islamiche immigrate nel nostro continente. Gruber ha fatto un lavoro prezioso nel ricostruire questo sfondo, perché non si è fermata all’oggi, ma ha dato profondità analitica al suo quadro pur riuscendo a farlo con uno stile espositivo privo di qualunque pedanteria saccente.

Naturalmente il focus principale rimane il primo percorso, quello determinato dalla volontà di conoscere in presa diretta cosa sia l’islam italiano. L’autrice ha una grande professionalità nel saper organizzare la sua inchiesta e la sua notorietà televisiva l’ha indubbiamente aiutata ad aprire porte che probabilmente in altri casi si sarebbero al massimo socchiuse, ma siamo grati che abbia usato le sue possibilità per darci un ritratto dal di dentro di questo mondo con cui dovremo convivere d’ora innanzi e che è con tutta probabilità destinato ad ampliare le sue dimensioni.

L’analisi che Gruber ci offre è distaccata ma non fredda. Distaccata perché la sua inchiesta non si piega al fascino di identificarsi nelle ragioni di ciò che è diverso, ma non per questo privo di valori e di proprie attrattività. Per esempio c’è una continua sottolineatura del tema controverso del ruolo della donna nell’Islam. Ai suoi interlocutori che le vogliono presentare alcune forme di rispetto per la condizione specifica femminile presenti nella loro cultura, l’autrice ribatte sempre che rispetto per una condizione specifica, che peraltro spesso è più teoria che pratica, non significa ancora eguaglianza tra i sessi, cioè quello che è una conquista irrinunciabile della nostra civiltà.

Non si tratta però di una analisi fredda, perché l’osservatore è “partecipante”, si rende conto di avere davanti un fenomeno complesso, molto articolato, a sua volta in evoluzione. Il fenomeno è colto soprattutto attraverso incontri con persone, sia membri delle varie comunità islamiche sia specialisti che su vari fronti devono rapportarsi con quelle realtà. Così veniamo a contatto con iman che spaziano dalle raffinate culture di Izzedin Elzir o di Pallavicini, alle posizioni piuttosto tradizionaliste di quelli delle moschee di Centocelle a Roma o di viale Jenner a Milano, ma conosciamo anche donne che si impegnano nella difesa dei problemi femminili come quelle del gruppo Aisha di Imola, studenti e studentesse che vivono la realtà dell’inserimento nel nostro sistema scolastico.

C’è, come si è detto, il fronte di coloro che con quelle realtà devono fare i conti dall’esterno: da studiosi come il prof. Roy dell’IUE di Firenze ai responsabili dei nostri servizi di sicurezza, dai politici come Maroni, Pinotti, Mogherini, agli uomini in servizio sulle nostre navi che soccorrono i migranti in cerca di asilo sulle nostre coste. Voci diverse, che concorrono a comporre un quadro molto mosso, dove fra prevenzione del terrorismo, integrazione e soccorso umanitario non c’è quella barriera di incomprensione che certa vulgata cerca di far passare.

È in fondo un’inchiesta appassionata sul dramma di questo passaggio di secolo (e forse di millennio) in cui si mescolano i problemi di recupero dei valori che orientano una società e quelli della difesa della laicità che impedisce che questi valori possano diventare sistemi di esclusione reciproca nell’idolatria delle identità inventate. Musulmani, cristiani, uomini senza religione ci sono tutti dentro e a tutti forse val la pena di ricordare la frase di papa Francesco che Gruber cita, come emblematica del cambio di secolo, in un passaggio delle sue conclusioni: chi sono io per giudicare.

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