Cultura

Gli «attributed» di Giorgione

  • Abbonati
  • Accedi
Arte

Gli «attributed» di Giorgione

Giorgione. «Ritratto di giovane» (part.), Berlino, Staatliche Museen
Giorgione. «Ritratto di giovane» (part.), Berlino, Staatliche Museen

Una nebbiolina leggera ammanta il soggetto, un volto che ci guarda, un paesaggio che dirada verso il blu di fondo, e avvolge ogni opera di Giorgione in un alone di fascino. E di mistero. Quante sono davvero le tavole e le tele di sua mano? Chi era Zorzo da Vedelago, Giorgio Barbarelli da Castelfranco, nato nella città murata della Marca trevigiana (1474 ca.) e morto poco più che trent’enne, stroncato dalla terribile peste del 1510, il cui nomignolo si deve alle «fattezze della persona e de la grandezza dell’animo», come ricorda Giorgio Vasari? Gli storici dell’arte continuano a chiederselo da decenni. Né la nebulosa questione critica pare essersi chiarita dopo l’ultimo affondo che accompagna la mostra alla Royal Academy di Londra, In the Age of Giorgione, fino al 5 giugno. Curata da Arturo Galansino, già nello staff scientifico dell’istituzione inglese e ora direttore di Palazzo Strozzi a Firenze, e Simone Facchinetti, conservatore del Museo A. Bernareggi di Bergamo; lo stesso tandem che ci aveva regalato, sempre a Londra, la bellissima mostra su Giovanni Battista Moroni nell’inverno 2014-2015. Per questo nuovo appuntamento espositivo li affianca lo storico dell’arte di casa Per Rumberg, ma il coté scientifico, come attesta il catalogo, resta di fatto italiano. La sede londinese ci mette il suo contributo: tutto il prestigio riconosciuto su scala internazionale, utile per ottenere prestiti non scontati, come La vecchia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Mosè alla prova del fuoco degli Uffizi, la Madonna col Bambino dell’Hermitage, il Ritratto d’uomo noto come Terris Portrait dal San Diego Museum of Art, il cosiddetto Ritratto Giustiniani dalla Gemäldegalerie di Berlino. Ma non tutti quelli desiderati, probabilmente, visto che si sente la mancanza della celeberrima Tempesta, che resta in Laguna, dell’Autoritratto in veste di David, del museo Herzog Anton Ulrich di Braunschweig, dei Tre filosofi del Kunsthistoriches Museum di Vienna o della Venere di Dresda.

Tuttavia, va precisato, la mostra non nasce come monografica su Giorgione, bensì come panoramica sull’età in cui sbocciò la sua arte, dopo quella di Giovanni Bellini (1413 ca. - 1516), che in vecchiaia aveva consolidato la propria autorevolezza ben oltre i confini del Veneto, e prima del suo allievo Tiziano (1488 ca. – 1576), talentuoso e precocissimo come palesano le sole date. Quell’età che dà l’avvio alla maniera moderna del Rinascimento veneto.

Ma torniamo al mistero che avvolge il caso Giorgione. Non vi è accordo sulle attribuzioni e i punti interrogativi permangono, con l’espressione anglosassone attributed su diverse didascalie. Per eccessivo rigore degli storici dell’arte o perché quando l’occhio del conoscitore non è debitamente supportato da documenti è bene lasciare sospese le sentenze? Sono solo cinque i documenti coevi che riguardano il pittore e la sua opera e due redatti subito dopo la morte, come precisava Charles Hope in un saggio chiarificatore nel catalogo della mostra che la città natale dedicò a Giorgione in occasione del quinto centenario della morte. Altre informazioni giungono dalle iscrizioni sul verso: elementi non inequivocabili come una firma con le lettere incastonate nel colore, ma indizi forti nel caso risalgano a quando il pittore era ancora in vita, come nel caso del ritratto di San Diego in mostra, che riporta anche una data (1508?).

Resta comprensibilmente “attribuito” il bellissimo Ritratto di guerriero con scudiero degli Uffizi, di grande fascino, ma privo di quella epidermide morbida e sfumata delle opere “certe”. In dubbio ancora il seducente Ritratto di giovane uomo con il suo servo di Roma, Palazzo Venezia, e lo straordinario Concerto di collezione Mattioli riconosciutogli da Roberto Longhi, che colpisce soprattutto per l’approccio coraggiosamente moderno delle figure e della composizione.

Discordi e varie sono anche le interpretazioni di alcuni soggetti. Chi non ricorda il saggio di Salvatore Settis La Tempesta interpretata? Ma per restare alle opere in mostra, è quanto mai aperta, ossia misteriosa, la lettura iconografia del cosiddetto Tramonto della National Gallery di Londra, da ammirare in ogni caso per il ruolo decisamente nuovo conferito al paesaggio tout court.

Alle intriganti opere giorgionesche, che chiudono con l’enigmatica Vecchia di Venezia, sono accostati alcuni utili confronti: con Dürer e Giovanni Bellini per i ritratti a inizio percorso, con Tiziano, Sebastiano dal Piombo e Lorenzo Lotto in diverse sale successive, e con altri “minori”, che però almeno in un caso rappresentano il contributo forse più interessante della mostra londinese. Ne esce splendidamente Giovanni Cariani, a tutto tondo grazie a ben otto opere di qualità e ottimamente conservate, tra le quali spicca la modernissima Giuditta di collezione Francesca e Massimo Valsecchi. Una bella sorpresa in una mostra che, comunque, non dà nulla per scontato.

© Riproduzione riservata