Cultura

Tragici ritratti di famiglia

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Teatro

Tragici ritratti di famiglia

  • –di Renato Palazzi
Perfomance. Una scena tratta da «Oreste», che fa parte del progetto «Santa Estasi» di Antonio Latella in corso a Modena
Perfomance. Una scena tratta da «Oreste», che fa parte del progetto «Santa Estasi» di Antonio Latella in corso a Modena

Valeva davvero la pena di viverla fino in fondo questa faticosa ma appassionante maratona di Antonio Latella nelle storie degli Atridi, otto spettacoli in due giorni, proposti nel quadro di un progetto di alta formazione per giovani attori e drammaturghi: dopo la morte di Ronconi, Latella è l’unico in Italia, e forse in Europa, in grado di condurre iniziative del genere, unendo un ferreo rigore didattico a un tracimante talento inventivo, che lo ha spinto a ideare otto autonome regie, ciascuna improntata a un proprio clima, a un proprio stile.

Santa estasi, questo il titolo del percorso, realizzato per Emilia Romagna Teatro, nasce da un corso da lui tenuto alla scuola “Paolo Grassi” di Milano, dove ha incontrato i sette neo-autori cui ha affidato la stesura dei testi (l’ottavo è di Linda Dalisi, la sua collaboratrice che, con Federico Bellini, ha seguito adattamenti e riscritture). I sedici attori, selezionati fra più di cinquecento candidati, li hanno affrontati in una prima sessione autunnale alla Corte Ospitale di Rubiera, e ora al Teatro delle Passioni di Modena, uno alla settimana fino al 10 giugno, con un’altra full-immersion nei due giorni successivi.

Gli otto spaccati sulla cupa dinastia, ognuno dei quali inquadra uno specifico personaggio, da Ifigenia a Elena alla trascurata Crisotemi, l’ultima figlia di Agamennone, cui nessuno ha mai dedicato una tragedia, sono definiti “ritratti di famiglia”. E infatti frugano nel privato di queste figure, nei loro impulsi segreti: la tragedia viene letta attraverso l’ottica della famiglia, le distorsioni della famiglia sono evidenziate attraverso le vicende tragiche.

Ad accomunare approcci molto diversi è la scelta di destituire comunque i protagonisti di ogni statura eroica, di ogni grandezza, cogliendone invece incertezze e smarrimenti. Nelle trasposizioni di Francesca Merli, Camilla Mattiuzzo, Matteo Luoni, Pablo Solari Agamennone abusa della figlia adolescente, Elena è una creatura dall’incerta identità, sospesa fra il tradimento e il sogno di fedeltà al marito, Elettra una fanatica sposata a un contadino mezzo scemo, Oreste un ragazzo nevrotico e spaventato, che medita di salvarsi prendendo in ostaggio Ermione, la figlia di Menelao.

Riccardo Baudino sposta l’Agamennone di Eschilo sul piano della rielaborazione linguistica, passando dal greco al latino a un italiano dagli echi visionari. Le Eumenidi in versi di Martina Folena evocano atmosfere rarefatte, quasi surreali. L’Ifigenia in Tauride di Silvia Rigon indaga i rapporti tra scienza e sacralità. Da un testo all’altro si aggirano presenze ricorrenti, una Clitennestra dalla torva carnalità, un coretto di due squinternate col foulard in testa e gli occhiali da sole, due stralunati messaggeri. Alla fine Crisotemi apparecchia un pranzo per dei commensali ormai defunti, vagheggiando una falsa armonia domestica.

La qualità dei testi è inevitabilmente alterna, alcuni sono molto buoni, altri più acerbi. Ma vengono tutti valorizzati da Latella, puntellati da incessanti trovate elargite con rara generosità. Restano memorabili alcune immagini: gli incontri tra Agamennone e Ifigenia che si trasformano in abbracci morbosi e un po’ strazianti, il coro svampito delle Elene, Elettra che danza col padre morto, lei, Pilade e Oreste che si baciano furiosamente formando un groviglio indistinto di corpi.

Si colgono citazioni piuttosto esplicite: Clitennestra come la donna con la testa nel forno di Heiner Müller, Oreste come il Roberto Zucco di Koltès. Ci sono però anche rimandi più sottili: Latella rivendica con orgoglio l’uso di materiali ripresi da spettacoli precedenti, un cavallo da giostra di Massimo Castri, degli specchi di Thierry Salmon. Ma non è solo questione di oggetti di scena: quei bambini piangenti, senza padri, sono un tributo all’immaginario freudiano di Castri, quell’Ifigenia in camicina bianca, tremante come un animale al macello, reca in toto l’impronta di Salmon, in una sorta di collage di stratificazioni registiche.

Come sempre Latella si muove dentro e fuori dalla finzione rappresentativa, sul tenue confine fra i due territori, ma i giovani interpreti non paiono intimiditi da questo doppio registro: Agamennone, all’inizio, si rivolge direttamente ai compagni seduti al tavolo come in prova, Oreste dirige gli attori, fa ripetere le battute, senza però perdere mai la propria intensità. Ognuno ha la sua parte di merito nella riuscita dell’insieme, ma alcuni hanno modo di mettersi più in luce, ed è giusto segnalarli: Christian La Rosa è un Oreste instabile, tormentato, Andrea Sorrentino un tagliente Pilade, Federica Rosellini un’Ifigenia sofferta fino allo spasimo. Da ricordare anche l’Agamennone potente e spaesato di Leonardo Lidi, la scostante Elettra di Marta Cortellazzo Wiell, l’Elena disillusa, etilista di Barbara Chicchiarelli.

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