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Fare la parte del maschio

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Teatro

Fare la parte del maschio

In prova. In primo piano, Maurizio Donadoni. Dietro, Gabriele Lavia
In prova. In primo piano, Maurizio Donadoni. Dietro, Gabriele Lavia

Tre nomi femminili fanno da titolo alle opere scelte quest’anno per il teatro greco di Siracusa, e in ognuno di questi prende corpo il senso più profondo della tragedia, si intrecciano sanguinose vicende familiari, si incrociano parabole di morte e di vendetta, nell’eterno conflitto tra disegni divini e prospettive umane. Ma in tutte e tre i componimenti c’è anche uno sguardo del tutto originale sull’essere donna. Elettra, Alcesti e Fedra, dunque. Proprio mettendo in fila queste figure, una dietro l’altra, come accade in quest’occasione, salta agli occhi quanto il profilo femminile sia sempre stato centrale nella scrittura classica, ma soprattutto quanto venga sempre disegnato dagli autori greci e romani con un’originalità che ancora ha molto da dire al mondo di oggi, apparentemente più emancipato e consapevole.
Nell’Elettra di Sofocle, commenta Gabriele Lavia che metterà in scena l’opera (fino al 19 giugno come l’Alcesti) «le figure centrali sono soltanto donne, lo sono la protagonista e l’antagonista e anche il coro è tutto loro. Gli uomini sono solo strumenti necessari storicamente per far svolgere l’azione». Così la vicenda della figlia che vuole uccidere la madre per vendicare l’assassinio del padre, in un ramificato innesto di colpe e di responsabilità, rivela poi un nucleo tematico più profondo che si proietta in avanti nei secoli, persino nel teatro. «Elettra è l’ispiratrice di Amleto - nota Lavia -, alcune battute dei due personaggi sono identiche» e l’assassinio, compiuto dal fratello Oreste ma istigato dalla ragazza, diviene un gesto ancor più clamoroso e coraggioso, proprio perché sollecitato da una donna, «tanto che lei stessa proietterà il suo atto delittuoso nel futuro dell’umanità. Sicura che molto tempo dopo verrà ricordata come colei che ha fatto sì che venisse portata a termine un’impresa destinata all’uomo», conclude Lavia.
Nel contempo però, commenta ancora il regista, l’opera pone una riflessione filosofica centrale, consegnandola appunto a una figura di fanciulla, ovvero «quella dell’essere come azione, dell’agire o del non agire, quindi dell’essere o non essere, questione centrale sulla scena di tutti i tempi, compreso Sarte secondo cui l’uomo è quello che fa». Del resto anche in Alcesti di Euripide una donna accetta di fare quello che l’uomo non ha il coraggio di fare, ovvero di morire, visto che un dio concede a suo marito la facoltà di non passare nel regno dell’Ade se qualcuno è pronto a sacrificarsi al suo posto. Cesare Lievi, alle prese con la messa in scena di questa tragedia sottolinea «Qui l’eroe tragico è una donna, viene salutata come si farebbe con una grande figura dell’altro sesso, e gli viene tributato un lutto che veniva riservato solo ai maschi», tanto che all’interno della vicenda accade un vero e proprio rovesciamento che pone una questione cruciale. «Cosa accade nel mondo degli uomini se il vero maschio è una femmina?”, si chiede ancora Lievi, indicando come «scatti allora una sorta di specularità, e l’uomo diventa donna, nel suo sentimento e nelle sue reazioni, con una regressione che lo porta all’adolescenza, all’infanzia o addirittura alla follia», cosa che in questo caso avviene addirittura in un profilo regale come quello di Admeto.

Da questo punto di vista particolarmente interessante appare la lettura che Carlo Cerciello intende dare della Fedra di Seneca (dal 23 al 26 giugno). «Ogni personaggio dell’opera è combattuto tra posizioni antitetiche, tra il dire e il non dire, tra lo svelare e il nascondere, tra il desiderare e il rifiutare il desiderio», ma l’attenta analisi del regista napoletano si spinge ancora più in avanti. «La prima contraddizione più evidente è che tutti i personaggi vogliono seguire la spinta di bisogni naturali ma si ritrovano loro malgrado a vivere contro natura». A partire da Ippolito che ama i boschi e la caccia ma non è attratto dalle donne né sentimentalmente né eroticamente, per non dire del padre che ritornerà sì alla vita ma solo dopo aver superato il confine dell’aldilà secondo un percorso che rompe la regola fondamentale dell’esistenza. Tutto questo riguarda però soprattutto Fedra con quella che il regista definisce «una sovrapposizione di due emisferi affettivi che si confondono secondo una sorta di sostituzione continua fra il marito e il figliastro», con lo sconfinamento di un amore legittimo in un altro sentimento più complicato, e siccome l’autore, secondo un geniale espediente drammaturgico, non fa mai incontrare i due uomini in scena, Cerciello ha deciso di affidare entrambi i ruoli ad un solo attore, Fausto Russo Alesi.

Cosa accadrà nello straordinario emiciclo di Siracusa? Lo vedremo, ma certo non è facile affrontare quello spazio grandioso e quel pubblico numerosissimo. Lavia parla di «un luogo complesso magnifico, pieno difficoltà», col solo rimpianto di dover ricorrere ai microfoni perché al giorno d’oggi il grande orecchio della cavea, per più di duemila anni con un acustica perfetta fin sull’ultimo gradino più alto, oggi è assordato dai rumori della civiltà odierna, mentre Lievi promette di usare il più possibile la vasta area del palcoscenico con riti funerari antichi e moderni. E Cerciello, che si trova per la prima volta ad uscire dalle piccole sale in cui ama lavorare abitualmente, accetta la sfida di così tanti spettatori e di una rappresentazione alla luce del sole calante, trasfondendo in questa nuova dimensione il suo universo onirico e immaginativo.

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