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Muscato ci piace così così

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Teatro

Muscato ci piace così così

Ormai lanciato verso grandi traguardi produttivi, Leo Muscato ha smesso i panni del giovane regista, ma non ha rinunciato ad accostarsi ai classici sul filo sottile tra estro e irriverenza. In questa chiave aveva allestito, una decina d’anni fa, il suo primo spettacolo di successo, Romeo e Giulietta, nati sotto contraria stella, una versione tutta al maschile del testo shakespeariano, in cui la deformazione grottesca non ne tradiva, ma anzi ne accentuava la carica poetica. È però un equilibrio difficile da raggiungere, che esige misura e delicatezza: basta l’errato dosaggio di uno degli ingredienti perché il tono dell’operazione rischi d’esserne compromesso.

Il suo nuovo approccio a Shakespeare ne è un’eloquente dimostrazione. Come vi piace è una commedia inquieta, misteriosa, costruita su segrete armonie. La sua trama ha un andamento quasi paradigmatico: ci sono due duchi fratelli, uno dei quali ha spodestato l’altro, c’è una corte che è il gelido luogo del potere e una foresta che è spazio della fantasia e dei sentimenti, dove si rifugiano tutti gli scontenti, gli esiliati, le vittime di ingiustizie e sopraffazioni. E c’è una fanciulla travestita da uomo, che suscita ambigui appetiti sia maschili che femminili.

Nello spettacolo che Muscato ha diretto per lo Stabile di Torino, con una prossima tappa al Teatro Romano di Verona, tutti i personaggi paiono ritagliati da un vecchio album di caricature. Orlando, l’aitante innamorato, è un ragazzotto grassoccio coi calzoni al ginocchio, in foggia vagamente tirolese, i due duchi sono l’uno – il cattivo - issato su un trono semovente, con elmo e pelliccia, l’altro – il buono - con piume da pellerossa e collana di fiori, mentre i pastorelli e le pastorelle hanno tratti parodistici, con pecore umane al guinzaglio.

Il tutto appare formalmente piuttosto accurato, e non privo di una certa rude grazia visiva. C’è talora qualche scena suggestiva, come quella dei due lottatori che si combattono a distanza, senza mai entrare in contatto fisico, e c’è qualche momento indubbiamente divertente, come lo stralunato coro di improbabili pecorelle. Ma questo gioco di amene trovate è destinato a restare tale, un gioco, appunto: scivola sulla superficie del testo senza incidere, senza toccarne la sostanza.

Come vi piace, d’altronde, è una commedia dagli umori particolari, tenera, lieve ma anche piena di insidiosi doppifondi, delle penombre di un dolce spleen. Non a caso c’è un personaggio indicato come “il malinconico Jacques”, vivente incarnazione di questo tenue stato d’animo. Ciò non significa che non si possano ricavarne effetti comici, ma una comicità di grana grossa crea un contrasto troppo netto. Oppure, se la scelta è di buttarla in farsa, si vada fino in fondo, con ben altra perfidia. Cobelli ne faceva di infinitamente peggio, ma col graffio ( e l’ardire) del grande regista. La recitazione è colorita, ma nell’insieme così così: funzionano le due ragazze, la quasi esordiente Beatrice Vecchione nell’impegnativo ruolo di Rosalinda e Silvia Giulia Mendola in quella di Celia. Daniele Marmi fa quel che deve, un romantico Orlando che non ha affatto il physique du rôle del sognatore. Marco Gobetti si sdoppia nei due duchi, Mariangela Granelli fa la pecora e la pastora. Quanto ai due attori di maggiore spicco, mi ha convinto poco Eugenio Allegri, un Buffone molto sopra le righe, mentre Michele Di Mauro, nella parte di Jacques, mostra una qualità superiore che sopravvive anche al tentativo di trasformarlo in maschera. Applausi per Dario Buccino, che da un angolo della ribalta accompagna l’azione suonando dal vivo la chitarra.

Forse, l’avessimo visto in altra sede, avremmo trovato lo spettacolo fresco e spigliato. Ma da quello che, di fatto, è il secondo più importante Teatro Nazionale ci si aspetta francamente qualcosa di più.

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