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Angeli caduti a passo d’uomo

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Musica

Angeli caduti a passo d’uomo

Standard, senza essere mainstream. Il trentasettesimo album in studio di Bob Dylan, prodotto dal suo ultimo alter ego Jack Frost (allegoria dell’Inverno), è la seconda antologia di Dylan dedicata a Frank Sinatra, da lui inteso come l’archetipo, solo apparentemente rassicurante, della frontiera e della cultura popolare americana. Accade a cinquant’anni esatti dal più celebre dei viaggi di Dylan, il World Tour che si chiuse alla fine di maggio del ’66 alla Royal Albert Hall, reso ancora più evocativo dal documentario auto-prodotto Eat the Document, epifania per pochi del monumentale e imprescindibile Dont Look Back di D. A. Pennebaker sul tour del ’65, l’anno della contestazione al Festival di Newport per quella scandalosa “svolta elettrica” del paladino del folk, che ora appare solo un ricordo.

E sessantacinque (ché le coincidenze non esistono) è l’età di Francesco De Gregori, solido dylaniano, in uscita con un pulsante memoir esistenziale, Passo d’uomo (Laterza, p.248, € 16, con Antonio Gnoli), umanamente intenso, a tratti brutale e dunque necessario, che arriva a meno di un anno dalla presentazione di Amore e furto, album in cui il cantautore traduce Dylan con sguardo filologico, quasi accademico, preservandone perfino gli arrangiamenti originali. Da parte sua, Fallen Angels arriva un anno dopo Shadows In the Night e ne costituisce il secondo volume ideale. Non stupisce che l’album, secondo precisa cabala dylaniana, sia stato registrato ai Capitol Studios di Hollywood, che aprirono i battenti nel ’56 proprio con Frank Sinatra. Fallen Angels è un album che accompagna la nuova, ennesima rinascita di Dylan (75 anni, compiuti la scorsa settimana), che mai come oggi guarda al futuro, senza rimpianti, anche se a leggere i testi (quasi) non si parla d’altro. Questa tracklist compatta di dodici standards scritti e composti dai protagonisti dell’industria fin de siècle di Tin Pan Alley e di quella Golden Age di Broadway, resi imprescindibili da The Voice, ci costringe a ridisegnare alcuni steccati della musica popolare americana del ’900. Nella gola di Dylan, una sorta di living museum del ’900 musicale, prendono impalpabile forma la rudezza del folk east-coast, la malinconia del jazz urbano prima della rivoluzione free, il patinato mondo dei crooners, la stravagante allegria psichedelica del rock west-roast, il blues del Delta, oltre a ballads e social song dagli Appalachi al Texas. Da Young At Heart a Come Rain Or Come Shine, passando per le deliziose On A Little Street In Singapore e Polka Dots And Moonbeams, i fallen angels di Dylan sono talmente démodé e lo-fi da apparire una epifania del folk che verrà. Ma in fondo, queste canzoni sono solo un’altra tappa di quel viaggio nell’epica della frontiera americana che va avanti, senza pausa, da 55 anni (nel ’61 Dylan approda a New York dal Minnesota per conoscere Woody Guthrie). Tempo di bilanci. Insieme a quelli di Dylan, tornano a noi altri angeli caduti, ma solo in forma postuma.

Annegato diciannove anni fa nel Mississippi, Jeff Buckley, il cantore meno prolifico della storia del rock, durò il tempo di un solo album, l’immortale Grace. Ora si manifesta con un album di inediti (più la rilettura di Just Like a Woman) dal titolo You and I e la mostra bolognese So Real (alla Galleria ONO Bologna, fino all’11 giugno, con 22 foto di Merri Cyr). Tornano idealmente anche i Grateful Dead, fratelli psichedelici di Dylan, con un monster album, Day of the Dead, tributo “epico” curato dai gemelli Aaron e Bryce Dessner, musicisti (The National) e curatori engagés di Brooklyn, molto attivi nel recupero di patrimoni musicali irregolari. Chiunque abbia frequentato almeno una volta le interminabili e strampalate live sessions di Jerry Garcia non avrà problemi ad affrontare un’opera di 59 tracce (oltre cinque ore di musica), realizzata da campioni della musica folk e world come Béla Fleck e Orchestra Baobab. Vedremo, nei prossimi anni, quanti fallen angels della musica del ’900 (ne sono caduti diversi, in questa prima metà di 2016) resisteranno all’usura. Purtroppo anche gli angeli, quando cadono, ci lasciano le penne. A volte lasciano a noi le ali, se sono stati capaci di volare alle giuste altezze. O se, come nel caso di Dylan, arrivano ad essere postumi di se stessi.

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