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Lumi della ragione medioevale

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Storia

Lumi della ragione medioevale

  • –di Gianluca Briguglia
Protagonisti. Abelardo ed Eloisa in una miniatura del Roman de la Rose, XIII secolo
Protagonisti. Abelardo ed Eloisa in una miniatura del Roman de la Rose, XIII secolo

Spesso si sente parlare di crisi dei saperi storici, non solo della storia propriamente detta, ma di tutte quelle variegate discipline che riflettono sul passato, ad esempio la storia della filosofia, dell’arte, addirittura della letteratura. Tuttavia se guardiamo ai risultati, ai metodi, alla capacità di produrre informazioni, di ricostruire e indagare paradigmi intellettuali e materiali del passato, di generare sapere, questa evocazione di una crisi non sembra giustificata. Viviamo anzi in un’epoca che ha aumentato moltissimo la sua conoscenza del passato, determinando campi di indagine nuovi, settori allo stesso tempo più ampi e più profondi.

Se invece si pensa al rapporto che gli studi storici intrattengono con la società nel suo complesso, e osserviamo il ruolo di tali studi nella formazione contemporanea e nella capacità di riconoscimento collettivo, al loro peso nell’epistemologia del presente, allora la crisi è visibile. E si tratta di una crisi profonda. Gli studi storici hanno infatti progressivamente perso il legame con le ideologie e le visioni generali della società, anch’esse ridottesi o trasformatesi, che li avevano se non proprio generati, almeno resi centrali nel sistema dell’educazione, della formazione e della politica. Questa progressiva perdita di rilevanza sociale della storia - proprio in un’epoca in cui è evidente che le discipline storiche e i saperi critici ad esse associate potrebbero dare un contributo civile e interpretativo formidabile - pone moltissime sfide e a diversi livelli. E soprattutto spinge a ripensare i fondamenti della relazione tra gli studi storici e il più ampio perimetro della società, anche riflettendo sulla nascita e sulla trasformazione di quelle discipline.

Uno dei libri di medievistica tra i più interessanti degli ultimi tempi, uscito in francese per Vrin e di cui si auspica una traduzione in italiano, Medievismo filosofico e ragione moderna, di Catherine König-Pralong dell’università di Friburgo in Germania, può essere letto anche come riflessione paradigmatica sulla nascita di una disciplina accademica - in questo caso la storia della filosofia medievale - nel più ampio costruirsi di ideologie e movimenti culturali in epoca moderna, in particolare negli scambi e negli antagonismi tra la Francia e la Germania del XVII-XIX secolo.

Anzi, la nascita del Medioevo come disciplina storico-filosofica accademica a partire dall’età dell’Illuminismo, sarebbe proprio il risultato della riflessione molteplice sulla modernità. A partire dai Lumi il soggetto del racconto storico è infatti per König-Pralong la ragione moderna e il suo oggetto è la genesi di questa ragione. Il Medioevo non è solo immagine dell’alterità, le tenebre, ma anche un campo di battaglia ideologico di tendenze diverse. Per il più grande storico dell’Illuminismo tedesco, Jacob Brucker (1696-1770), la filosofia medievale è razionalità minore, caratterizzata da una patologica “aristotelemania” senza costrutto e nelle mani delle istituzioni cattoliche. Per Brucker, pastore protestante, è proprio l’impronta cattolica a deformare il pensiero filosofico, mentre per gli storici illuministi francesi (ad esempio Deslandes) è la religione in sé a impedire un sincero esercizio filosofico. È invece la nascita dei sentimenti nazionali che integra il Medioevo nel sistema delle istituzioni. Gli stati nazionali, o i movimenti che portano alla loro costituzione, hanno bisogno di un immaginario condiviso, necessitano di una tradizione. Il medioevo diventa medioevo nazionale. Non solo, dalla fine del XVIII secolo fino a gran parte dell’Ottocento, è anche l’idea di Europa, che comincia a nascere (o più precisamente un’idea di appartenenza nazionale e di progetto sovranazionale), ciò che rende il Medioevo filosofico non più sinonimo di difformità della ragione, ma patrimonio da sfruttare. Per Herder (1774-1803) ogni nazione, ogni popolo, ha una sua anima, una sorta di unità perenne, uno spirito che non cessa di manifestarsi, ma l’Europa ha anche una sua unità spirituale che le è conferita dalla religione, cioè dal Medioevo. Per Schlegel (e Novalis) la filosofia medievale esprime un’unità europea, attraverso la concordia di ragione e religione, che è in realtà manifestazione della purezza originaria dell’anima germanica, in contrapposizione al razionalismo illuminista francese. Si va delineando una dicotomia ideologica sul terreno dell’insegnamento della filosofia medievale tra mistica tedesca e scolastica francese. Del resto Victor Cousin (1792-1867), il più importante storico francese della filosofia di metà Ottocento e fondatore degli studi storici di quel Paese, fa del metodo scolastico medievale l’inizio dello sviluppo moderno della filosofia, ma fa anche del medievale (e francese) Abelardo l’inventore di quel metodo: la razionalità moderna è dunque un’invenzione della Francia. In questo quadro storico già complesso entra anche la valutazione del peso della filosofia araba medievale nello sviluppo della razionalità europea. Se la filosofia greca è il modello assoluto di razionalità, che dire del ruolo degli Arabi che nel Medioevo portarono alla conoscenza dell’Occidente i testi di Aristotele e la loro interpretazione? Anche qui il contesto è complesso: il filosofo arabo Averroè è per taluni il corruttore della filosofia greca, per altri il fautore di un ateismo illuminista, per altri ancora l’inventore di una corrente, l’averroismo, che solo nella sua storia latina, e non presso gli Arabi, incapaci di filosofia in quanto di stirpe semitica (come in Renan), ha dato un contributo alla ragione europea.

Ancora una volta quello che è in gioco in questi dibattiti, che hanno contribuito a fondare una disciplina, è il presente, la ragione moderna, e sempre in relazione con poste differenti, con ideologie, con visioni complessive della cultura e con progetti di società. Il libro di König-Pralong, oltre ad essere un importante dossier sulla costituzione di una disciplina storica in due Paesi-chiave europei, ci ricorda di fatto in forma paradigmatica che la nascita dei saperi storici e la loro evoluzione non è un percorso neutro, non è modello di scientificità astratta, ma è a sua volta una storia.

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