Cultura

Pattinare con le dita

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A COLLOQUIO CON JACO VAN DORMAEL

Pattinare con le dita

  • –di Marinella Guatterini
Un momento dello spettacolo  «Cold Blood»
Un momento dello spettacolo «Cold Blood»

Lei ha inventato con lui le NanoDanses, danze di sole mani e lui le ha riprese anche nel suo ultimo film, Dio esiste e vive a Bruxelles; lui ha inventato con lei un inedito linguaggio teatrale fatto di cinema, danza, musica, performance e bricolage di genio, e lei ha creato un collettivo in grado di sostenere questa sperimentazione. Forse, come il Dio surreale e furente del film citato, anche la dispettosa parola “interdisciplinarietà” ha trovato una calda dimora nella capitale belga, grazie al cineasta Jaco Van Dormael e alla coreografa Michèle Anne De May. Lui autore di pochi film, ma sempre premiati o candidati agli Oscar (Toto le Héros,1991; L’ottavo giorno, 1996, Mr. Nobody, 2009; Le Tout nouveau Testament, ovvero Dio esiste e vive a Bruxelles, 2015). Lei: studi a Mudra, debutto a fianco di Anne Teresa De Keersmaeker nel gruppo Rosas, da tempo coreografa e danzatrice residente a Charleroi Danse.

La coppia, unita nella vita dal 1999, lavora insieme dal 2011, l’anno di nascita di Kiss&Cry, struggente storia degli amori perduti di una piccola donna sempre in attesa solitaria del loro ritorno, ma soprattutto inesauribile successo internazionale proiettato verso il 2018 con oltre 350 recite già effettuate in otto lingue, e davanti a 150mila spettatori, cui si aggiungerà, il 15-16 giugno, l’apertura del «Napoli Teatro Festival Italia», al Politeama. Quest’anno ne è nato il “sequel” Cold Blood: stesso modello interdisciplinare, ma dilatato, stesso numero di co-autori, stesso indirizzo italiano per il prossimo ottobre (dal 22 al 26), al festival Torinodanza 2016, già promotore e custode esclusivo, e per due anni non consecutivi, della magnifica diversità di Kiss&Cry. Bella la nascita «sopra il tavolo della nostra cucina da pranzo, tra chiacchiere e quesiti di amici-collaboratori», spiega Van Dormael, di questa prima pièce di riferimento.

Il titolo è lo stesso di quell’angolo nelle piste di pattinaggio in cui si rifugiano i campioni delle lame sul ghiaccio in attesa del punteggio, il kiss&cry. Appunto: “baci e lacrime”. In effetti, le dita di Michèle Anne De May e del collega danzatore Gregory Grosjean pattinano, eseguono pirouette, s’intrecciano come due innamorati e si lasciano scivolando sulla sabbia di due tavoli a lato della scena e a vista pubblico. In mezzo, il regista Van Dormael e i suoi cameramen riprendono in diretta, proiettandole sopra un grande schermo, quelle dita danzanti assieme ai piccoli oggetti di un gioco d’infanzia formato mignon - alberi, stazioni di treni, panchine, camere da letto -, e lei, la protagonista: statuina pure mignon, avvolta dal testo di Thomas Gunzig, tocca le corde emotive di ogni spettatore raccontando di quanti affetti hanno popolato la sua vita e sono spariti dal suo territorio.

Si tratti di un film che si gira e si proietta simultaneamente nello spazio-tempo teatrale, a partire dalla creazione di un “nanomondo”, o di semplici mani che diventano dei personaggi danzanti nel bel mezzo di paesaggi miniaturizzati, è certo che la rivoluzione di questo umanissimo e magico spettacolo dal vivo è tutta concentrata nella sua singolare forma narrativa. Una sorta di ricerca simile a quella di un chimico in laboratorio, precisissima ma basata sull’improvvisazione, ogni sera uguale a sé stessa e diversa, pur nell’immutabilità degli oggetti, inclusi un trenino sferragliate al suolo, e le musiche. Proprio a queste ultime Van Dormael attribuisce un’importanza speciale. «Ho imparato da mia moglie a raccontare una storia fatta di pause, momenti poetici, sussulti e respiri, ritornelli e riprese; credo che il nostro teatro sperimentale somigli a una composizione musicale. Prima di conoscere Michèle Anne non sapevo cosa fosse la danza contemporanea e quanto potesse essere in rapporto alla musica anche fisicamente. Danzavo un po’ di tango, ero sicuramente più in forma di quanto non sia oggi, ma non conoscevo certi segreti compositivi tornati utili alla non linearità narrativa dei miei film».

Genitori di quattro figli, due a testa, avuti da precedenti unioni e nonni di tre piccoli, Jaco e Michèle formano una bella coppia. Quando lavorano insieme possono non essere d’accordo, ma si scambiano idee, opinioni «come da vita vera convissuta». Anche Cold Blood è nato «sul tavolo della nostra cucina» e da questa intimità di intenti «oltre che dal desiderio di approfondire la ricerca iniziata con Kiss&Cry. La contrapposizione / ossimoro del titolo, pur capovolto, proviene dal Sedecia, Re di Gerusalemme, l’opera di Alessandro Scarlatti, in particolare dall’aria di Ismaele Caldo sangue, accostata a partiture di Ravel, Šostakovič, Schubert, ma anche a musiche per claquette e varie, sempre eseguite dal vivo, davanti agli spettatori. Il corpo, però, è nella sua interezza, più presente: non ci sono solo le mani; il set, spiega Michèle Anne, è iper-realistico con trentasei piccoli oggetti: un legno tra due specchi crea una grande foresta, una torre è fatta da disegni di giocattoli. «Bisognava fornire l’impressione di un interno di un ospedale e tante illusioni visive ed elettroniche per sostenere la storia di una famiglia ipnotizzata da sette morti. Ciascuno prima di lasciare questo mondo, vede il suo ultimo ricordo: può essere solo il profumo dell’erba, una nuvola, qualcosa di molto poetico».

Cold blood è umoristico, ma è anche dark. Contemplativo e astratto, non ha veri protagonisti se non il pubblico, quasi costretto a collegare e a scegliere le situazioni funebri, tra citazioni di Fred Astaire e Ginger Rogers, Esther Williams, il Bolero di Béjart… Ovunque abbia già debuttato, come in Canada, la nuova pièce del 2015 ha creato persino più entusiasmo della precedente. Nonostante il timore degli autori, ha vinto il fascino del bric-à-brac in diretta che abbraccia tutte le arti e ne abbatte i confini.

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