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Un pensiero per il pianeta

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FILOSOFI D’OGGI / A COLLOQUIO CON JOHN BROOME

Un pensiero per il pianeta

  • –di Carla Bagnoli
Illustrazione di Guido Scarabottolo
Illustrazione di Guido Scarabottolo

Il problema delle basi razionali della decisione è al centro di tutto il lavoro filosofico di John Broome. Ma Broome ha anche cercato di mettere la teoria del ragionamento al servizio dei decisori reali, per esempio, quelli chiamati a decidere che cosa fare a proposito del cambiamento climatico. Broome è Emeritus White’s Professor of Moral Philosophy e Fellow al Corpus Christi College dell’Università di Oxford, Adjunct Professor alla Australian National University e Visiting Professor alla Stanford University. È stato nominato Fellow of the British Academy e Foreign Honorary Member of the American Academy of Arts and Sciences.

Secondo Broome, l’effetto serra è un problema «pubblico» per eccellenza, per dirla con un termine dell’economia. «Un bene pubblico ha effetti su molte persone come una trasmissione radio, a differenza di un bene privato come il caffè che ha beneficio solo sulla persona che lo consuma. I gas serra sono un male pubblico perché danneggiano molte persone». Questo ne fa anche una responsabilità dei governi. «Il governo dovrebbe promuovere il bene, almeno per il suo popolo. Non sono d’accordo con quei filosofi che pensano che un governo debba interessarsi solo di giustizia». Certi filosofi liberali, infatti, ritengono che i governi non debbano prendere posizione sugli standard di vita buona, ma limitarsi a regolare ciò che è giusto. Per Broome, il giusto dipende almeno in parte da ciò che è bene. «In questo caso, il bene che si può fare rallentando il cambiamento di clima può essere conseguito solo attraverso la cooperazione internazionale, che potrebbe essere regolata da un’istituzione internazionale oppure da negoziati tra governi».

Ma come possiamo decidere ragionevolmente se non sappiamo come il pianeta cambierà, in seguito al cambiamento climatico? «Raramente siamo sicuri di quale sarà il risultato delle nostre azioni. Quando si pianifica un viaggio, bisogna tener conto di varie cose brutte e belle che potrebbero accadere, inclusi gli eventi improbabili ma potenzialmente disastrosi come quello di essere feriti. In linea di principio si dovrebbe valutare le varie possibilità, soppesarle secondo le loro probabilità, attribuendo più peso a ciò che è probabile che succeda, ma attribuendo un certo peso anche alle possibilità improbabili. Per esempio, nell’intraprendere un viaggio forse si dovrebbe comprare un’assicurazione contro gli infortuni. I governi dovrebbero pianificare le loro azioni nello stesso modo. Dovrebbero considerare i diversi effetti possibili del loro agire on non agire a proposito del cambiamento climatico e soppesarle secondo le loro probabilità. Potrebbero trovare ragionevole prendere precauzioni contro la possibilità di un cambiamento climatico catastrofico, anche se improbabile. Questo tipo di ragionamento non è arbitrario perché il giudizio dovrebbe essere basato sulle migliori evidenze disponibili». Quindi si può utilmente fare un’analisi in termini di costi e benefici. «Ciascuna nostra decisione ha effetti buoni ed effetti cattivi. Questi effetti devono essere confrontati e soppesati. In senso ampio, dunque, l’analisi costi-benefici è inevitabile. Ma questo non vuol dire che dobbiamo adottare i metodi particolari dell’economia».

Questo tipo di ragionamento, però, sembra particolarmente difficile nel caso del cambiamento climatico, proprio per le condizioni di grande incertezza. Eppure, «in condizioni di grande incertezza, dobbiamo comunque soppesare gli effetti potenzialmente buoni contro quelli potenzialmente cattivi, tenendo conto delle loro probabilità. Talvolta si dice che la grande incertezza è particolarmente problematica perché le probabilità non si conoscono. Ma le probabilità per i singoli eventi, come la probabilità che una stazione nucleare particolare esploda non sono mai quel tipo di cose che si possono sapere.

Nel caso migliore, si possono esprimere giudizi basati sulle evidenze disponibili. Ciò nonostante, decisioni sensate devono prenderli in considerazione». Per molti, il problema è anche quello di bilanciare le preferenze presenti e quelle future, non sapendo bene cosa accadrà. Ma Broome non la pensa così, gli scarti temporali non sono rilevanti quando si ragiona su cosa fare: «Non vedo perché un evento futuro possa essere meno importante di uno presente, solo perché è situato nel futuro. Perché la morte di un bambino per malaria è peggiore se accade quest’anno invece che nei prossimi dieci anni? È vero, gli economisti “scontano” certi tipi particolari di eventi futuri nel confronto con gli eventi presenti, e hanno ragione a farlo. Danno meno valore al consumo futuro di beni materiali come il cibo rispetto al consumo presente. Ma questo è perché assumono che le persone saranno più ricche in futuro. Una persona più ricca trae meno benefici nel consumare cibo di una persona più povera, perché ha consumato già più cibo. Generalmente, gli economisti non scontano beni futuri semplicemente perché sono situati nel futuro. Ma questi aspetti della teoria economica sono già bene compresi. Non è questa la questione intellettuale più difficile».

La questione davvero difficile è «dare un valore ai cambiamenti nella popolazione umana che saranno causati dal cambiamento climatico, compreso dare un valore alla possibilità remota della nostra estinzione, che porterà la nostra popolazione alla fine». Proprio di questo si occupa la cosiddetta «etica della popolazione» (population ethics). Per esempio, si studia la possibilità di obblighi verso chi non c’è ancora, le nuove generazioni che subiranno le conseguenze dei nostri errori. Dobbiamo trattare tali agenti futuri come agenti reali? «Se una bambina morirà non vedo come possa fare una differenza rispetto alla natura cattiva di questo evento se la bambina è già in vita o non ancora nata: le generazioni non dovrebbero tutte contare allo stesso modo?» Eppure nel ragionamento ordinario diamo più valore al presente che al futuro. Ma Broome ha le idee chiare sui compiti della filosofia. «La filosofia si interessa di rappresentare correttamente il ragionamento. Sta agli psicologi spiegare perché ragioniamo in modo scorretto».

Un aspetto molto delicato della teoria del ragionamento di Broome è che ci consente di soppesare le vite, come promette il titolo di un suo libro importante, Weighing Lives, del 2004.«È frequente che i giudizi debbano interessare vite alternative. Per esempio, le risorse mediche sono spesso usate per estendere la vita delle persone (per esempio con il trapianto di cuore), o anche per rendere la vita migliore senza estenderla (per esempio protesi dell’anca). È oggi possibile usarle anche per creare più vite, aiutando le persone a procreare. Come dovremo distribuire le risorse limitare tra questi fini differenti?» L’obiezione è che questo ragionamento tratta il valore delle persone come oggetto di transazione. Broome ha una posizione piuttosto pragmatica: «Queste decisioni devono essere prese. Non dovrebbero essere prese sulla base di un giudizio appropriato riguardo alla bontà dei risultati? Per esempio, non si dovrebbero prendere in considerazione il numero delle persone le cui vite possono essere salvate, e il numero di anni di vita che ciascuno di loro potrebbe guadagnare? Se saranno create nuove vite, non si dovrebbe prendere in considerazione le richieste che queste nuove persone avanzeranno riguardo alle limitate risorse della Terra? Queste e altre considerazioni devono rientrare in un giudizio appropriato». E la filosofia può contribuire a prendere decisioni sensate? «I metodi ordinari di logica e analisi filosofica possono contribuire a pensare chiaramente in ogni ambito. L’etica filosofica offre una guida su temi difficili specifici. Per esempio, il cambiamento climatico cambia il futuro della Terra e può condurre all’estinzione. La filosofia può aiutarci a giudicare il valore e il disvalore di questi eventi. Ho scritto di recente sull’etica del cambiamento climatico (Climate Matters: Ethics in a Warming World, Norton 2012), e anche sulla natura del ragionamento (Rationality Through Reasoning, Blackwell 2013). In entrambi i casi si tratta di esercizi di metodo filosofico, ma oltre a ciò credo che la loro connessione sia limitata. Naturalmente, il ragionamento è uno strumento per risolvere problemi pratici. Per rispondere appropriatamente al cambiamento climatico bisogna impiegare la nostra facoltà di giudizio, così come per girare lo sterzo bisogna usare le mani. Ma questo non vuol dire che una teoria del ragionamento ci aiuta a risolvere il problema del cambiamento climatico, più di quanto una teoria biologica sul funzionamento delle mani ci aiuti a girare lo sterzo».

Ma la teoria del ragionamento non è diretta a risolvere i problemi concreti? «Non proprio. Né lo è la fisica delle particelle o la cosmologia. Gli esseri umani vogliono comprendere il loro mondo, non solo manipolarlo per i loro scopi. Il mio lavoro sul ragionamento si prefigge di migliorare la nostra comprensione. E la vita reale offre qualche spunto alla teoria? È una questione della vita reale com’è che noi esseri umani possiamo produrre dei risultati attraverso l’esercizio della nostra volontà; non siamo meramente spinti da forze causali esterne. In parte, esercitiamo la nostra volontà attraverso il ragionamento. Mi propongo di spiegare come».

La serie di interviste di Carla Bagnoli che inauguriamo con John Broome si propone di far conoscere al pubblico italiano problemi di confine tra la teoria del ragionamento pratico, la filosofia della mente e l'epistemologia sociale e morale, ambiti particolarmente fertili allo stato attuale del dibattito filosofico anglo-americano. Si tratta di temi trasversali anche rispetto alle contrapposizioni disciplinari consuete nell'accademia italiana.
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