Cultura

«Esse» come Stendhal

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Musica

«Esse» come Stendhal

  • –di Quirino Principe
Homme des lettres. Un ritratto ritoccato con il colore di artista anonimo di Henri Beyle in arte Stendhal (1783-1842)
Homme des lettres. Un ritratto ritoccato con il colore di artista anonimo di Henri Beyle in arte Stendhal (1783-1842)

La letteratura che abbia per oggetto la musica forte, e che la esamini, la dichiari, la racconti, persino osi descriverla nei dettagli: quale spinoso e imbarazzante tema per lo statuto non dichiarato della cultura italiana ! Qui da noi, tolte forse due o tre eccezioni (D’Annunzio nei limiti di velleità accese da autentica attrazione, Montale sul terreno di autentiche ma piccole esperienze, Arbasino per insofferenza verso la volgarità del “non sapere”) gli “hommes de lettres” non sono stati e non sono oggi tecnicamente in grado di affrontare questa operazione metalinguistica, ignorando assolutamente (e dichiaratamente!) tutto del linguaggio di cui dovrebbero parlare. (Ma una benedizione del cielo è per noi almeno Eugenio Scalfari, che sui Quartetti per archi di Chopin, sulla cronologia comparata di Stravinskij e Schönberg e sul compositore Claudio Abbado sa decisamente tutto).

Figuriamoci un “ego scriptor” e il suo imbarazzo al quadrato, se gli si chieda lo sforzo, metalinguistico di secondo grado, di captare annaspando qualche elementare informazione su ciò che scrittori non italiani, con competenza qui da noi impensabile, hanno detto sulla musica e sui musicisti (André Gide, James Joyce, G.B. Shaw, Hermann Hesse, Anna Achmátova...). Eppure, due casi, almeno due, sono riusciti a perforare la parete di buio pesto: non c’è’ “homme de lettres” italiano che non citi, prima o poi, Thomas Mann e Doktor Faustus, oppure Stendhal e la Vie de Rossini: e se è altamente improbabile che lo “scriptor” non abbia letto il romanzo manniano, è statisticamente molto probabile che della biografia stendhaliana magari parli o straparli ma non l’abbia letta, poiché per gli “scriptores” nostrani il diavolo è sempre interessante, Rossini molto meno o quasi per nulla.

Su queste considerazioni viene a cadere felicemente un libro dalla finalità enunciata con discrezione e sottovoce: una sequenza alfabetica di lemmi biografici. Ma è tanto pieno di energia concentrata da riuscire ad essere, a nostro avviso, un avvenimento clamoroso e sovreccitante per la cultura degli italiani musicalmente alfabetizzati. Centro di gravità è Stendhal: un pianeta rotante nel cosmo, autonomo pur se in relazione gravitazionale con gli astri e con le energie occulte, ma illuminato da uno strano sole (dall’enigmatico “God” dei Privilèges datati 1840?) unicamente nel suo emisfero musicale, dimidium animae eius. Così, a loro volta, ruotano intorno al corpo celeste oggetti cosmici eterogenei, teatri-galassie, impresari-stelle, orchestrali-lune, cantanti-comete, danzatrici-meteoriti, coreografi-asteroidi, scenografi-astronavi. La popolazione sterminata e brulicante della musica occidentale tra la Grenoble del 1783 e la Parigi del 1842, attraverso l’erotico eone della Milano 1800-1821, ci si presenta in vivissime schede, ciascuna delle quali rende l’idea del Tutto. Come sempre avviene, quanto più folto e ricco di notizie è il contesto, tanto maggiori sono le occasioni di crocevia e d’intersezione secondo il calcolo combinatorio. All’editore riconosciamo l’eleganza del volume (un amabile 8° piccolo), alla valorosa curatrice-autrice la qualità scientifica della ricerca. Ci è cara la collaborazione con il Centro Stendhaliano della Biblioteca Comunale Centrale di Milano, in cui vive ancora lo spirito dell’indimenticato Gian Franco Grechi.

Le intersezioni e i crocevia (potremmo dire: “i cruciverba”) sono numerosissimi, poiché il calcolo combinatorio moltiplica in misura esponenziale i canali di comunicazione tra un lemma e l’altro. Qualsiasi lettore di questo libro può fabbricarsi interi mondi di relazioni, quasi trame di romanzi possibili tra realtà e immaginazione. Basta aprire un lemma, cogliere il nesso emotivo o il gancio narrativo più forte, e transitare a un altro lemma e così via, con la certezza di non violare mai la realtà storica. Per esempio, si può partire dalla danzatrice Fanny Elssler, citata da Stendhal come «la divine Elssler» nei Mémoires d’un touriste, bella e sensuale “danseuse païenne”, e saltare a colei che le fu contrapposta, la bella ma sacerdotale Maria Taglioni, “danseuse chrétienne”, e da costei come “trait d’union” transitare allo zio di lei, Salvatore Taglioni, sommo coreografo, il quale a sua volta ci conduce al più che sommo scenografo Alessandro Sanquirico, a da costui all’altro coreografo e virtualmente drammaturgo Salvatore Viganò, uomo che fu “trait d’union” tra la Milano di Stendhal e la Vienna di Beethoven e di Schubert... e così via, lungo un regressus ad infinitum.

Gli altri esempi possono essere a loro volta quasi infiniti, e il loro numero è tutto contenuto, come nesso di universi possibili, in questi libro, afferrabile e portabile con una sola mano. Come nota Suzel Esquier nella prefazione, che è un bellissimo omaggio alla difficile collaborazione franco-italiana resa più facile dall’ambito mobile della musica e delle arti, sfera dell’Essere, al di sopra della triviale e miserabile sfera dell’Avere, dalle schede biografiche emerge anche l’alta qualità culturale dei Conservatorii italiani, nonché la mobilità intellettuale della Milano d’età napoleonica e poi austriaca, e, non ultima, la felice libertà sessuale che ferveva tra donne e uomini di teatro e di musica nell’epoca d’oro dell’Opera. Si ha la sensazione, chiudendo provvisoriamente questo libro, che la personalità di Stendhal sia stata un a priori rispetto al suo tempo: che il suo “égotisme” abbia modellato intorno a sé i modi di sentire e di esercitare l’intelletto negli anni di quella generazione, in una Milano che oggi ci pare incredibile.

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