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Fiore in rivolta

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Cinema

Fiore in rivolta

  • –di Roberto Escobar
«Fiore» di Claudio Giovannesi. Daphne Bonori (Daphne Scoccia)
«Fiore» di Claudio Giovannesi. Daphne Bonori (Daphne Scoccia)

È chiusa in sé come in una prigione, la minorenne Daphne Bonori (Daphne Scoccia) di Fiore (Italia, 2016, 110’). Lo è quando punta un coltello alla gola di ragazzi e ragazze della sua età, per farsi consegnare un cellulare che poi, in un normale squallore metropolitano, rivende a un ricettatore. Lo è quando i poliziotti la scovano su per le scale di un condominio alla periferia di Roma, affidandola una volta di più ai giudici, agli assistenti sociali e alle guardie carcerarie.
E lo è quando il padre Ascanio (Valerio Mastandrea) le dice che per lei non c’è posto nella casa di Stefania (Laura Vasiliu), la sua nuova compagna, e che dovrà scontare il resto della pena in carcere. Non c’è odio e non c’è paura, e neppure risentimento,
nel suo viso che mai si illumina,
ma un’indifferenza raggelata. Gli “altri”
non sono che comparse senza valore di una messa in scena lontana ed estranea.

Da dove viene la muta pena di vivere
di Daphne? Chi ne porta la responsabilità? Come nel suo Alì ha gli occhi azzurri (2012), Claudio Giovannesi non ha tesi da dimostrare, né colpe da distribuire. Non c’è sociologia nella sceneggiatura scritta con Filippo Gravino e Antonella Lattanzi, ma cinema. E c’è una generosa, dolente curiosità umana. Il malessere di Daphne è sociale, anche sociale, ma è in primo luogo profondamente suo, come sua dovrebbe essere la sua vita. E alla sua vita – al futuro della sua vita, non al suo passato – si volge lo sguardo poetico del film.

Ora, nel suo presente, tutto le scorre addosso senza lasciarle segni apparenti. Solo quando la arrestano mostra un cenno di rivolta. Ma il termine è inadatto, eccessivo. Daphne non è una ribelle, non può esserlo. Gliene manca la rabbia,
o comunque la sua rabbia non conosce ragioni per rivoltarsi, anche solo confuse. Come un fiore non ancora sbocciato ma già intristito, il suo futuro rischia di morire prima ancora di aprirsi. Se così avvenisse, del resto, niente cambierebbe nel mondo. Esposta senza difese alla vita, di questo lei per prima sembra convinta. Perché dovrebbe rivoltarsi? In vista di che cosa, e di chi?

La gelida Daphne non attende nessuno
e da nessuno è attesa, neanche dal padre. Appena uscito di galera, senza un lavoro, Ascanio le vuol bene, ma non è capace
di restare all’altezza del proprio amore. Qualcosa forse lo ha spezzato. O così è sempre stato, incapace di fare davvero sua la sua vita, come sembra stia per accadere
alla figlia. Anche per lui Giovannesi e i suoi cosceneggiatori evitano di azzardare semplificazioni sociologiche. Ce lo mostrano invece nella sua umanità insieme tenera e irresponsabile – che Mastandrea sa rendere ben credibile –, senza difese ed esposto alla vita almeno quanto Daphne.

Poi, da una finestra del settore maschile del carcere la chiama Josh (Josciua Algeri). Niente li lega, a parte una telefonata che lui le chiede di fare alla sua ragazza che vive al Nord, e le sigarette che lei pretende in cambio. Non c’è motivo che tra loro nasca qualcosa di più, e di più forte. Ma, come spesso accade, nelle loro vite il caso finisce per contare più di qualunque motivo. Un po’ alla volta, giorno dopo giorno, mese dopo mese – e prima che lui torni a Milano,
in semilibertà –, i due si innamorano, aprendosi l’uno all’altra. Ma aprirsi
è pericoloso. Si può essere feriti. Lei ne ha paura, infatti. Teme d’essere costretta a uscir di prigione, non da quella in cui la rinchiude lo stato, ma da quella in cui si rinchiude da sé. Le ci vorrebbe coraggio, per farlo.
Le ci vorrebbe una decisione netta,
un atto irrevocabile.

Daphne deve scegliere, e con lei deve scegliere Josh. Possono attendere la scadenza delle loro condanne, anticipata per buona condotta, e poi tentare di ritrovarsi, se ancora si ameranno. O possono fuggire insieme per poche ore, pronti a pagare la nuova libertà con qualche mese di carcere
in più. Ma certo sanno che solo una rivolta, anche solo una piccola rivolta, può fare della loro vita una vita davvero loro. È questa la chiave con cui apriranno il loro futuro.

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