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Il fantasma nelle lettere

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Il fantasma nelle lettere

  • –di Giorgio Fontana

«La facilità di scriver lettere […] deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. È infatti un contatto con fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l’una conferma l’altra e ad essa può appellarsi per testimonianza». Così scriveva Kafka a Milena Jesenská, verso la fine del marzo 1922. Potrebbe essere un’epigrafe ideale per il romanzo di Juan Gómez Bárcena, Il cielo sopra Lima: una splendida variazione sul tema dell’amore epistolare, innestato sul tronco di un Bildungsroman.

José Gálvez è il rampollo di una famiglia aristocratica peruviana. Carlos Rodríguez è il figlio di un venditore arricchitosi con il caucciù. Entrambi sono poeti di scarso valore, che giocano a fare la bohème in una soffitta di Lima. Una sera del 1904, i due giovani cercano di scrivere al loro idolo Juan Ramón Jiménez per ottenere qualche libro autografato, ma «sarebbe più facile se fossimo una bella donna». E in fondo, perché no? Così inventano Georgina Hübner, una ragazza che si rivolge al Maestro per testimoniare la sua ammirazione.

Il trucco funziona benissimo, tanto che le lettere si moltiplicano; e il poeta e Georgina cominciano a legarsi. José e Carlos assistono basiti a questa evoluzione del loro scherzo, con una differenza: per José, Georgina è un pretesto; per Carlos, diventa una ragione di vita. In un’esistenza piatta e privilegiata — Bárcena è bravissimo a mostrare la meschinità con cui i due fingono di “fare i poveri” — Georgina emerge come l’oggetto del suo desiderio confuso. Intanto i problemi di dare un passato coerente al personaggio si fanno pressanti, tanto che gli amici decidono di trarne un romanzo: faranno innamorare di lei il grande poeta, per poi raccontarne la storia. E Carlos si immerge così a fondo nella vita di Georgina da esserne geloso, e di più: teme che ciò sveli la sua cronica mancanza d’amore, ripagata solo dall’affetto che prova per quella creatura immaginaria.

Una creatura che però si ribella ai suoi autori. Prima è un’adolescente annoiata, poi una ragazza civettuola e animata da passioni anarchiche. José la immagina india, Carlos europea come la prostituta polacca che lo iniziò al sesso. Divide i due amici e li fa litigare, mentre Jiménez si dice pronto a salpare per il Perù e infine conoscerla. Per impedire l’incontro impossibile, non rimane che farla morire di tubercolosi. E di colpo, Carlos comprende che la sua fine coincide con la distruzione di ogni possibilità di riscatto per sé e per José: paradossalmente, è solo nella finzione che hanno potuto conoscere una vita vera.

Il destino si compie: i due amici si ritrovano anni dopo, sposati e ben allineati nell’alta società peruviana. Ma c’è un colpo di coda: nel frattempo Jiménez ha davvero scritto una poesia dal titolo Carta a Georgina Hübner en el cielo de Lima — di fatto, il pretesto di Bárcena per l’intero romanzo. Nel vederla, Carlos ha la conferma disperante che è quella la cosa migliore che abbiano mai fatto, più importante di tutti i loro averi e delle loro famiglie: hanno creato un essere capace di generare amore e poesia.

Finisce così, con due uomini che passeranno il resto della loro vita nel rimpianto. Finisce nel punto in cui realtà e immaginazione si toccano, un’ode al potere delle storie. Finisce con la domanda contenuta negli ultimi versi di Jiménez: «E se in nessun luogo le nostre braccia s’incontrano, / quale bimbo idiota, figlio dell’odio e del dolore, / creò il mondo, giocando con le bolle di sapone?».

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