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La disciplina del dubbio

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La disciplina del dubbio

  • –di Gino Ruozzi

Passeggeri notturni di Gianrico Carofiglio è composto di trenta testi di tre pagine l’uno. Sono racconti, apologhi, riflessioni: scritti brevi con i quali Carofiglio prosegue un percorso di chiarezza e di concisione che lo contraddistingue e che ha trattato in maniera specifica nei volumi saggistici La manomissione delle parole (2010) e Con parole precise. Breviario di scrittura civile (2015).

In Passeggeri notturni Carofiglio scommette sull’uso di uno spazio limitato per provare che misura e qualità non sono in opposizione ma maturano in sintonia. È la grande lezione poetica del sonetto, rinvigorita da quella aforistica di Francesco Guicciardini che nei Ricordi esortava al «poco e buono». Come rimarcava Giuseppe Pontiggia: non «poco ma buono» bensì «poco e buono», che esprime una gerarchia di valori ben diversa. Sulla stessa lunghezza d’onda è Gesualdo Bufalino, che nel Malpensante sostiene «che non c’è nulla di meglio di una costrizione per accendere la bravura e la voglia». L’obiettivo della brevità si coniuga con quello dell’esattezza, secondo il perentorio invito di Giacomo Leopardi a «chiamare le cose coi loro nomi» (Pensieri, 1). «Le parole che utilizziamo», scrive Carofiglio, «possono avere un impatto straordinario non solo sulle nostre vite individuali, ma anche su quelle collettive. Le parole creano la realtà, fanno – e disfano – le cose».

Con queste intenzioni Carofiglio si colloca nella fertile tradizione delle novelle, degli esempi, degli apologhi, che sale dal medioevo a oggi. Si pensi nel Novecento ai raccontini di Saba e di Flaiano, ai sessanta racconti di Buzzati, agli apologhi di Bassani e di Calvino, ai sillabari di Parise, ai fiori giapponesi di La Capria, alle centurie di Manganelli, alle storiette di Malerba, alle parabole di Celati. Una biblioteca da integrare con l’influsso dei koan zen, che in Italia si sono affermati con le 101 storie zen (1973) poi rivisitate da Ferruccio Masini in Pensare il Buddha (1988).

Anche sulla scia degli apologhi zen i testi di Carofiglio tentano di «scardinare il modo convenzionale di guardare le cose». Lo scrittore propone «storie» e aneddoti esemplari, inserisce racconti nei racconti, alternando scritti narrativi e saggistici. Spesso sono storie che prendono il via da relazioni personali (più o meno fittizie): da un politico incontrato al ristorante, da una donna (s)conosciuta sul treno, dalla conversazione con uno psicologo americano. Ci sono umanità e simpatia, sentimenti e indignazioni in questi racconti. Carofiglio compone un quadro variegato e complesso del nostro mondo, che prende le mosse da situazioni occasionali e dalle proprie esperienze giudiziarie, parlamentari, editoriali.

Molti testi propongono un’esplicita morale finale, che sovente non è rassicurante, anzi rilancia i dubbi e gli irrisolvibili misteri della vita, lo scandalo delle diffuse ingiustizie, la stizza per le (in)evitabili falsità. Nei processi le persone belle riescono quasi sempre a spuntare pene minori di quelle brutte; scrittori rancorosi e burleschi propongono agli editori capolavori ricopiati che non vengono identificati e sono di norma respinti; assurde leggende metropolitane alimentano malsane teorie antropologiche (come nell’emblematica ironica favola nera La riduzione delle tasse).

Carofiglio unisce serietà morale e affilata ironia, affondi taglienti e dettagliate casistiche che irridono i presuntuosi di turno. Un apologo schernisce l’arrogante sicumera dei falsi profeti, rappresentati dal «superesperto, sondaggista e guru» da salotto che assicura imminenti scadenze elettorali seccamente smentite dalla realtà. Eppure, davanti a tanta insulsa preveggenza, lo scrittore avanza una lista di «profezie» sbagliate pronunciate da Charlie Chaplin (per il quale «al pubblico non interessava vedere figure in movimento su uno schermo, ma esseri umani in carne e ossa su un palcoscenico»), da Albert Einstein (che «dichiarò categoricamente che non ci sarebbe mai stata la possibilità di produrre energia atomica»), dall’ex amministratore delegato di Microsoft Steve Ballmer (per il quale «non c’era alcuna possibilità che l’iPhone conquistasse una quota significativa di mercato»). L’arte del dubbio e molti ragionevoli dubbi, per citare titoli indicativi di precedenti libri di Carofiglio, caratterizzano questi testi: la disciplina del dubbio come salutare azione di disincanto e di dissenso verso i tracotanti possessori di verità. Il vero «investigatore» (nella giustizia e nel mondo) è «una persona in grado di vedere le cose da più punti di vista, di notare i dettagli e percepire le sfumature, poco incline ai giudizi sommari e soprattutto munito di una dote fondamentale (non solo nelle indagini): la capacità di nutrire dubbi e, in ogni momento, di mettere in discussione con intelligenza le proprie certezze». È una posizione che mi ricorda l’illuminismo pragmatico degli scrittori del «Caffè», specie nell’apologo Il contagio.

La satira si concentra sulle aberrazioni linguistiche, di cui Carofiglio prende di mira soprattutto l’enfatizzazione avverbiale (assolutamente «è l’avverbio che nasconde le peggiori malefatte»). A cui fanno da contrasto, in un equilibrato avvicendamento di toni, alcune epifanie sensoriali che rinviano a Marcel Proust. Come quando all’odore delle merendine appena sfornate alla Fiera del Levante «d’un tratto si apre uno squarcio» che «per un tempo brevissimo e infinito» fotografa un indimenticabile abbraccio famigliare.

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