Cultura

Mai nascondersi, mai arrendersi: la sua lezione

  • Abbonati
  • Accedi
Storia

Mai nascondersi, mai arrendersi: la sua lezione

  • –di Michele De Mieri
Muhammad Alì-Cassius Clay (Ipp)
Muhammad Alì-Cassius Clay (Ipp)

Per comprendere l'importanza di Muhammad Alì-Cassius Clay basta fare il confronto tra la sua vita, la sua parabola mediatica, con la vita e la figura sciagurate di Mike Tyson. Nella lampante differenza tra i due grandi campioni dei pesi massimi sta tutta la grandezza unica di Alì, come pugile e come uomo. In questo paragone sta forse pure tutta la differenza tra la storia dell'America degli anni Sessanta e Settanta e quella di alcuni decenni dopo.

Nella prima epoca il potere della parola era ancora enorme, capace di minare muri che sembravano eterni, nell'epoca attuale la società dello spettacolo macina tutto e tutto dimentica, il giorno dopo, e un post non può avere la forza di una conferenza in cui “il più grande” si rifiutava di andare a combattere in Vietnam «perché i vietcong non mi hanno mai chiamato sporco negro».

Ali è oggi più che mai il supremo protagonista di uno sport allora unico e leggendario, ora agonizzante, se non già morto da molti anni. La sua vita sportiva, le sue mitiche sfide (su tutte quelle con Joe Frazier e George Foreman) non sono mai state circoscritte alle corde del ring, lui si è sempre battuto per qualcosa che andava ben oltre il suono delle quindici riprese: Alì non cercava di mettere al tappeto solo l'avversario di turno, quello che di volta in volta serviva anche (solo?) a ribadire la forza della parola (la sua credibilità) prima di quella dei pugni. Solo Martin Luther King e Rosa Parks hanno combattuto il razzismo dell'America (e del mondo intero) al suo stesso livello, l'uno con la non violenza, i discorsi e le marce, l'altra col fermo e semplice rivoluzionario rifiuto di alzarsi da un sedile di un autobus.

Né Malcom X né il reverendo Jesse Jackson, né il premio Nobel Toni Morrison e tutti gli altri scrittori afroamericani (e i Jazzisti) e gli Spike Lee e le Oprah Winfrey hanno intaccato di così tanto un paio di secoli di segregazionismo e cieco razzismo. Alì ha mostrato che lottare col corpo è lottare col cuore, con la forza delle idee. Prima ha mostrato che vincere significava avere il diritto alla ribalta e la responsabilità di non sprecarlo, anni dopo col suo corpo malato, devastato dal Parkinson, si mostrava con la stessa ferma volontà di quando sfidava il mondo coi guantoni. Lui che accende la fiamma delle Olimpiadi di Atlanta o le tante altre volte che è apparso in pubblico ci ha sempre ricordato che non bisogna nascondersi, piegare la testa, autosegregarsi, che col corpo si capisce e si parla, e si lotta. Pugni inclusi, naturalmente.

© Riproduzione riservata