Cultura

Muri parlanti a Palazzo Cipolla

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la mostra

Muri parlanti a Palazzo Cipolla

  • –di Stefano Brusadelli

Ammirazione per un ingegno figurativo che di certo lascerà un segno nella storia dell’arte contemporanea; ma anche stupore (e un po’ di turbamento) nel constatare con quale facilità si possono stravolgere (e irridere) convenzioni che nel tempo si sono fortemente radicate in ciascuno di noi. Questo è il sentimento che un visitatore prova dinanzi alle oltre 150 opere che nel romano Palazzo Cipolla in via del Corso compongono la più importante “musealizzazione“ mondiale realizzata finora delle opere del grande Bansky.

Tutto è rovesciato nel suo contrario. Basta un particolare cambiato, o aggiunto. Le immagini zuccherose da libro per l’infanzia, o da american way of life diventano di colpo agghiaccianti; si veda Bomb Hugger in cui un’adolescente abbraccia felice un ordigno aeronautico, oppure Family Target in cui il bimbo che corre sulla spiaggia tra i suoi ipervitaminizzati genitori è inquadrato in un mirino da cecchino. O, ancora, Napalm, dove Topolino e Ronald McDonald, il pagliaccio simbolo dell’omonima multinazionale della ristorazione, tengono per mano Kim Phuc, la piccola vietnamita fotografata nel 1972 mentre nuda e terrorizzata fuggiva da un bombardamento americano. Immagine perfetta, questa, per riassumere tutto lo spirito della rassegna, dedicata a Guerra, Capitalismo & Libertà, che sono appunto le ossessioni dell’artista inglese.

E con la stessa geniale facilità - a dimostrare che se è facile manipolare immagini lo è altrettanto manipolare coscienze - anche il terrore si capovolge in risata, attraverso lo sberleffo ai simboli guerreschi, o repressivi. Macchine belliche, militari, poliziotti (spesso raffigurati con le facce da ridenti pupazzetti), sono le vittime predilette della fantasia di Bansky. In CND Soldiers, due uomini in assetto da combattimento dipingono furtivamente su un muro il simbolo del pacifismo; in Happy Choppers elicotteri carichi di razzi e bombe sono ornati da un fiocco rosa; in Have a nice day un minaccioso schieramento armato avanza augurando «buona giornata a tutti».

Ma sono i feticci del capitalismo, come in Napalm, i bersagli preferiti dell’ironia di Bansky. In Golf Sale, l’omino che fermò i carri armati cinesi in piazza Tienanmen, stavolta li devia verso una svendita di articoli golfistici. In Donut, agenti motociclisti scortano un blindato che trasporta una gigantesca ciambella; come dire che in fin dei conti è il prodotto industriale il primo bene da tutelare, oggi. Le pie donne che piangono il Cristo defunto, in Sale Ends, si disperano sotto un cartello che annuncia la fine dei saldi. E in Trolleys un gruppo di seminudi cacciatori si prepara a scagliare le lance contro alcuni carrelli per la spesa: simbolo, a ben pensare, del nostro odierno nutrirci.

Ci si aggira nelle sale di Palazzo Cipolla per subire una sorpresa dietro l’altra. Compresa quella riservata dagli scritti dell’artista. Alcuni meritano di essere qui trascritti. Ce n’è uno, attualissimo, a proposito dei muri: «Un muro è una grande arma, è una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno». E un altro, geniale, sui topi, animali totemici di Bansky: «Loro esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in silenziosa disperazione tra il sudiciume. E tuttavia sono in grado di mettere in ginocchio intere civiltà. Se sei sporco, insignificante, e nessuno ti ama, allora i topi sono il tuo modello».

Per realizzare questa mostra, che comprende tele, stampe, serigrafie, sculture, stencil, copertine di dischi, tutti oggetti creati per essere contenuti in interno, ci sono voluti due anni di lavoro. I pezzi provengono da collezioni private sparse in tutto il mondo (molti donatori hanno preferito restare anonimi), e soprattutto da quella del gallerista londinese Acoris Andipa, che è il più importante dealer mondiale di Bansky. La mostra è no profit, nel senso che al netto delle spese (fee per i prestatori, trasporto, allestimento, assicurazioni) il ricavato sarà reinvestito nelle attività sociali della Fondazione Roma.

Ci sono, per fortuna, parecchie scolaresche in visita. A loro, soprattutto, è bene che arrivi la lezione di questo artista che l’uso dello spray e degli spazi urbani rende particolarmente congeniale al mondo giovanile: rovesciate sempre gli stereotipi, non siate mai sicuri di niente, anche perchè di sicuro c’è qualcuno che vi sta prendendo in giro.

E comunque, per cambiare le cose, meglio l’uso dell’intelligenza, della dissacrazione, dell’ironia, che le molotov dei black bloc. Come insegna la più famosa delle opere in mostra, Flower trower, del 2006, con il giovane mascherato che scaglia contro la polizia un bel mazzo di fiori.

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