Scrive Bernard Droz, storico francese della decolonizzazione: «La valorizzazione ideologica e affettiva degli imperi coloniali raggiunge il suo apice durante gli anni Trenta, congiunta alle forme più diverse, rinnovate dal progresso delle tecniche di propaganda. La Gran Bretagna eccelle nell’organizzare immense e sontuose manifestazioni di unanimismo imperiale, in occasione di un giubileo, di un’incoronazione o della Giornata dell’Impero, il 24 maggio, anniversario della nascita della Regine Vittoria. Le piccole monarchie del Belgio e dell’Olanda sono costrette a una maggiore discrezione, ma la Francia, all’occasione, celebra i fasti repubblicani assegnando uno spazio sempre più ampio alle truppe d’oltremare nelle parate del 14 luglio. In forma autonoma o inserite nelle Esposizioni universali, come quella di Parigi nel 1937, le Esposizioni coloniali, affiancate da un’abbondante documentazione e dalla stampa, riscuotono un immenso successo di pubblico dove la curiosità venata di esotismo compete con l’orgoglio del “genio civilizzatore” proprio di ogni nazione». (Histoire de la décolonisation au XXe siècle, Seuil 2006)
È opportuno aver presente questa situazione storica se si vuol comprendere l’entusiasmo col quale gli italiani accolsero ottanta anni fa la conquista di un impero coloniale, ottenuto con una spietata guerra contro l’Etiopia, uno degli ultimi due Stati africani – l’altro era la Liberia – non ancora assoggettati al dominio imperialista. La premeditata aggressione italiana era stata annunciata dal duce dal balcone di Palazzo Venezia la sera del 2 ottobre, davanti a una folla oceanica radunata nella piazza romana e nelle piazze di tutta l’Italia: «Venti milioni di uomini - tuonò Mussolini – occupano in questo momento le piazze d’Italia […]La loro manifestazione deve dimostrare al mondo che Italia e fascismo costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile». L’aggressione iniziò il giorno successivo. Il duce ordinò ai suoi generali di condurre la guerra con largo dispiego di mezzi e di armi, compresi i gas asfissianti, per ottenere una rapida vittoria. E così avvenne: il 5 maggio 1936, le truppe italiane al comando del generale Pietro Badoglio entrarono in Addis Abeba, capitale dell’impero etiopico, mentre l’imperatore Hailé Selassié riuscì a fuggire. Dal balcone di Palazzo Venezia, la sera del 5 maggio, Mussolini annunciò «al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita». E dallo stesso balcone, la sera del 9 maggio 1936, il duce salutò «la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma».
Mussolini considerava la conquista dell’impero il suo massimo successo politico e militare. Non solo: essa fu anche il massimo successo propagandistico del fascismo all’interno, perché mai, nei venti anni di incontrastato dominio totalitario, il regime e soprattutto il duce riscossero un consenso altrettanto entusiastico dalla quasi totalità della popolazione. Lo ricordava lo stesso Mussolini, in un libro dedicato al figlio Bruno morto in un incidente aereo nell’agosto 1941: «Mai una guerra fu più sentita di quella. Mai entusiasmo fu più sincero. Mai unità di spiriti più profonda.[…] Tre adunate improvvise di popolo come non si ebbero mai nella storia e poi la notte trionfale del 9 maggio, la più grande vibrazione dell’anima collettiva del popolo italiano». Ma quando il duce scriveva queste parole, l’Italia era da due anni coinvolta nella Seconda guerra mondiale, e l’impero era già nuovamente sparito dai colli fatali, dopo cinque anni esatti: il 5 maggio 1941, le truppe britanniche vittoriose avevano ricondotto ad Addis Abeba l’imperatore Hailé Selassié.
La nostalgica descrizione mussoliniana del sentimento degli italiani di fronte alla conquista dell’impero corrispondeva tuttavia alla realtà, come hanno confermato gli studi sull’opinione pubblica durante il regime. Il più recente, dedicato da Marco Palmieri proprio al periodo della guerra d’Etiopia (L’ora solenne, Baldini & Castoldi 2015), mostra, con una varia documentazione inedita, «quanto fosse ampio e radicato il consenso e l’entusiasmo degli italiani di fronte alla decisione di Mussolini di invadere l’Etiopia»: l’uno e l’altro confermati, dopo varie oscillazioni dubbiose dovute all’andamento della guerra, dalle esplosioni di giubilo all’annunzio della vittoria e della riapparizione dell’impero sui colli fatali. Entusiasta fu anche l’adesione alla guerra coloniale di gran parte delle gerarchie ecclesiastiche, dagli alti prelati ai modesti parroci. E non pochi furono gli antifascisti, anche in esilio, che si ricredettero nella loro avversione per il duce e per spirito patriottico si sentirono uniti a tutti gli altri italiani nell’auspicare la vittoria. Milioni di uomini e donne donarono la fede d’oro alla patria. Su 419 senatori, 414 offrirono la loro medaglietta, fra i quali l’antifascista Benedetto Croce. Persino i comunisti constatarono che la propaganda fascista per l’impero aveva contagiato larghi ceti operai, specialmente giovanili. Ma l’entusiasmo e l’esaltazione popolari, per quanto genuini ed estesi, non furono durevoli e si mutarono presto in delusione, malcontento e soprattutto timori per le nuove avventure militari del duce. «A livello di massa, – ha osservato Renzo de Felice – il coinvolgimento psicologico dei ceti popolari e soprattutto di quelli operai nella guerra d’Etiopia non equivaleva a un pieno consenso politico verso il regime fascista” (Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi 1974).
L’effimera durata del nuovo impero italiano e il naufragio delle ambizioni imperiali del duce con la disfatta subita dall’Italia nella Seconda guerra mondiale, hanno indotto gli storici a considerare la conquista dell’Etiopia un’impresa coloniale anacronistica, compiuta quando ormai l’era dell’imperialismo e del colonialismo volgeva al tramonto. Una simile interpretazione, valida se formulata alla luce di quanto è accaduto dopo la Seconda guerra mondiale, è però inadeguata a comprendere come mai gli italiani fossero stati coinvolti con tanto entusiasmo nella conquista coloniale e nella fondazione di un nuovo impero italiano. In realtà, come abbiamo visto all’inizio, negli anni Trenta nessuna delle potenze coloniali europee, neppure quelle che si opposero all’aggressione italiana all’Etiopia, come l’Inghilterra e la Francia, considerava anacronistico il proprio impero. E combatterono nella Seconda guerra mondiale, e a lungo anche dopo, per conservarlo.
© Riproduzione riservata