Cultura

Mostri che incantano

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ambroise paré (1510-1590)

Mostri che incantano

  • –di Chiara Pasetti

Ogni libro che porta la firma o il contributo di Michel Jeanneret, professore emerito dell’Università di Ginevra, storico della letteratura, specialista del Rinascimento francese e dell’opera di Gérad de Nerval, è una garanzia assoluta non solo di originalità, erudizione e raffinata competenza, ma di bellezza, poesia, fascino. Su queste pagine avevamo parlato anni fa del suo lavoro Versailles, Ordre et chaos, dedicato alla natura ribelle che si insinua a sua insaputa nel parco di Versailles, rivelando un aspetto dell’estetica del Grand Siècle ben più complesso e tormentato di quello che la storia ha voluto raccontarci.

Ora, nella sua ultima pubblicazione per le edizioni Gallimard, il professore curioso amante del bizzarro e del mostruoso è andato a scoprire un breve trattato di Ambroise Paré (1510-1590), considerato il padre della chirurgia moderna. Il testo, intitolato Des monstres et prodiges, è una perla incastonata nell’edizione completa delle Œuvres d’Ambroise Paré, un volume in-folio di oltre mille pagine, uscito nella sua ultima versione nel 1585. Nella prefazione Jeanneret, con passione e ammirazione, racconta chi fu questo singolare medico, nato in un villaggio della Mayenne in una famiglia modesta e ben presto iniziato al mestiere del barbiere-chirurgo. A soli ventidue anni Paré arriva a Parigi, dove dilagava la peste, e si ritrova a lavorare come apprendista chirurgo all’Hôtel-Dieu. È lì che fa le sue prime esperienze importanti con i malati, che rivelano e confermano la sua vocazione e il suo talento di medico: subito dopo, qualificatosi «Maestro Chirurgo-Barbiere», lascia l’ospedale e inizia a praticare la chirurgia nelle armate reali.

In guerra, accanto ai feriti, fa la sua più grande scoperta: la legatura dei vasi per curare gli arti amputati, invece della cauterizzazione con l’olio bollente o con il ferro arroventato. Questo metodo gli porterà una grande fama e la stima della corte, tanto che rientrato a Parigi sarà ammesso al Collegio Reale dei Chirurghi, dove sarà considerato il maestro, e ben quattro re se lo contenderanno come loro medico-ordinario. Aspramente criticato dai colleghi, invidiosi delle sue capacità e ostili ai suoi metodi di cura giudicati poco ortodossi (ma che risparmiavano atroci sofferenze ai feriti), Paré, spirito indipendente e libero, continua a esercitare la sua professione e a studiare, pubblicando nel 1875 le sue opere complete in francese (non ebbe mai il tempo di imparare il latino!); la Facoltà, che tenterà di impedirne a più riprese la diffusione, lo etichetterà come «impudentissimus, imperitissimus, maxime temerarius». E lui, in tutta risposta, scriverà altri testi, tra cui questo libretto sui mostri e i prodigi: fenomeni naturali straordinari, di cui sembra da subito più interessato a raccontare i casi più che a cercarne le cause. Con lo spirito critico del filosofo del Rinascimento, che non giudica ma osserva,

Paré traccia una stupefacente galleria (gemelli siamesi, mostri terrestri, celesti e marini, anatomie aberranti, malattie insolite, demoni e streghe, illusioni diaboliche, sessualità ambigue, incroci fra uomo e animale, difformità di ogni sorta, molte di queste illustrate attraverso tavole prese da incisioni e da libri): dal morboso al meraviglioso, dall’avversione alla seduzione, la fenomenologia dell’autore apre all’evasione, al sogno-incubo, e nel limite del finito iscrive l’infinito.

Dalla descrizione, arte in cui Paré eccelle, si scivola man mano verso la celebrazione: il libro appare alla fine un grande e appassionato «inno alla vita» e alle sue forme, che si rinnovano nelle metamorfosi. Un «inno di lode», che avrebbe senz’altro incluso la frase di Montaigne: «quelli che noi chiamiamo mostri, non sono tali per Dio, il quale vede, nell’immensità della sua opera, l’infinità delle forme che vi ha comprese».

Tre secoli dopo, in pieno positivismo, centrando il soggetto, pour cause, sulla scienza e non su Dio, Flaubert scriverà: «la scienza non riconosce mostri, non rinnega nessuna creatura, il brutto non esiste se non nella mente dell’uomo». Ma non in quella di un uomo come Ambroise Paré: che fosse, per lui, Dio e non la natura ad aver generato l’infinito spettacolo del creato poco importa, la sola cosa che egli si sente di dire, incantato, di fronte ai «mostri», agli esseri «bizzarri, strani, prodigiosi», a tutto ciò che sembra andare «contro il corso della natura», poi modificato significativamente in «oltre il corso» (non sono, queste creature, «un deragliamento da una normalità che non esiste», ma solo una delle infinite manifestazioni della varietà universale, precisa Paré con questa correzione) è: «penna, fermati». E resta, ora e sempre, «sbalordito». Come tutti i saggi, come i grandi filosofi del passato (e del presente), come, ancora, Montaigne, che sulla loro scia affermava: «la meraviglia è il fondamento di ogni filosofia».

Ambroise Paré,
Des monstres et prodiges
,
Gallimard, Paris, pagg. 288, € 7,50

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