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Ken Loach, ottant'anni di cinema d’impegno

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Ken Loach, ottant'anni di cinema d’impegno

Ken Loach
Ken Loach

Dopo la vittoria della Palma d'Oro, Ken Loach festeggia un compleanno importante: si prepara a spegnere ottanta candeline il grande regista inglese, recentemente premiato al Festival di Cannes per il suo ultimo lavoro «I, Daniel Blake».
Nato a Nuneaton il 17 giugno del 1936, Loach ha passato buona parte della sua carriera a raccontare storie di vita dei ceti meno abbienti, degli emarginati, di coloro che faticano a sbarcare il lunario e che spesso vengono abbandonati dalle aziende per cui lavoravano e dallo stato.

Figlio di operai e socialista convinto, Loach, dopo aver studiato legge all'università, si avvicinò al teatro sperimentale e alla televisione: negli anni Sessanta diresse diversi episodi di serie televisive, tra cui svettava il docu-drama «The Wednesday Play», un prodotto rivoluzionario (almeno per l'epoca) che utilizzava gli stilemi del documentario per raccontare storie di fantasia.

Durante la lavorazione della serie, Loach esordì al cinema con «Poor Cow» (1967) e, successivamente, con l'ottimo «Kes» (1969), uno dei suoi film più importanti in assoluto, con protagonista un quindicenne problematico, tormentato nell'ambiente familiare quanto in quello scolastico.
Nonostante la bellezza di questa pellicola, negli anni Settanta continua a dedicarsi soprattutto al piccolo schermo e tocca il cinema soltanto raramente («Family Life» del 1971, «Black Jack» del 1979).

Anche il decennio successivo è contrassegnato principalmente da prodotti televisivi e documentari impegnati, relativi alle proteste dei lavoratori («A Question of Leadership» ne è un esempio).

Negli anni Novanta, invece, Loach si dedica al cinema di finzione e firma di fila una serie di lungometraggi diventati presto di culto: «Riff Raff», «Piovono pietre», «Ladybird Ladybird» e «Terra e libertà» mostrano il talento di un regista capace di unire i messaggi sociali e politici a una grande cura narrativa e a un'attenta costruzione dei personaggi principali. Nel 1994, inoltre, riceve il Leone d'oro alla carriera alla Mostra di Venezia.

Nel 2002 è uno degli artefici del film collettivo «11 settembre 2001» e autore dell'ottimo «Sweet Sixteen», una potente riflessione sull'adolescenza.
Quattro anni dopo vince a Cannes la prima Palma d'oro con «Il vento che accarezza l'erba», film sulla lotta irlandese per l'indipendenza: un argomento che toccherà nuovamente con «Jimmy's Hall» del 2014, stesso anno in cui il Festival di Berlino lo omaggia con un Orso d'oro alla carriera.

Anche nelle ultime stagioni ha diretto film importanti, capaci di raccontare le difficoltà dettate (anche) dalla crisi economica con grande sensibilità: l'ha fatto con il drammatico «In questo mondo libero…» e con il più leggero e irresistibile «La parte degli angeli» del 2012.

Nel 2009 ha anche firmato il divertente «Il mio amico Eric», con protagonista il calciatore Eric Cantona, mentre quattro anni dopo è tornato al documentario con «The Spirit of ‘45».

Il suo ultimo lavoro, «I, Daniel Blake», ha commosso la Croisette e conquistato la giuria capitanata da George Miller. Al successo del film ha contribuito la sceneggiatura del fidato Paul Laverty, suo abituale collaboratore e vero coautore delle sue pellicole a partire da «La canzone di Carla» del 1996.
A Cannes Loach ha festeggiato alla sua maniera, alzando il pugno chiuso e accusando il sistema odierno che sta portando milioni di persone alla miseria. Il cinema, dice Loach, deve lottare contro tutto questo e far valere le ragioni della gente contro i potenti: un motto che il regista britannico ha sempre rispettato in tutta la sua lunga carriera.

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