Cultura

Un fisico a Hollywood

  • Abbonati
  • Accedi
CINEMA & SCIENZA

Un fisico a Hollywood

II film.  Kip Thorne illustra   alcune  equazioni a Jessica Chastain sul set di «Interstellar»
II film. Kip Thorne illustra alcune equazioni a Jessica Chastain sul set di «Interstellar»

Chiunque, negli ultimi quarant’anni, abbia studiato fisica, approfondendo quello straordinario capolavoro dell’ingegno umano che è la relatività generale, ha sicuramente su uno scaffale della propria biblioteca un volume intitolato Gravitation. E sa bene che lo scaffale deve essere robusto, perché il libro in questione – la Bibbia della teoria gravitazionale, un’inesauribile miniera di idee e di visioni – è un enorme tomo di quasi 1.300 pagine e tre chili circa di massa: tra tutti i manuali di fisica quello che incurva di più lo spazio-tempo. In gergo lo si chiama MTW, dalle iniziali degli autori: il leggendario John Archibald Wheeler, uno dei più geniali fisici del secolo scorso, e due suoi ex dottorandi, Charles Misner e il più giovane Kip Thorne, trentenne all’epoca dell’uscita del testo (nel 1973).

Dopo un’eccezionale carriera che lo ha portato a diventare uno dei massimi esperti mondiali di cosmologia e astrofisica relativistica, e a occupare la cattedra del California Institute of Technology intitolata a Richard Feynman (altro dottorando di Wheeler), Thorne ha deciso negli ultimi anni di dedicarsi prevalentemente alla divulgazione e alla scrittura. Ma qualche mese fa si è riparlato molto di lui per ragioni scientifiche, in quanto cofondatore e responsabile teorico di Ligo, l’esperimento che ha rivelato le prime onde gravitazionali – un contributo che gli varrà probabilmente il premio Nobel (dopo il Fundamental Physics Prize e il Kavli Prize assegnatigli nelle scorse settimane).

Se Stoccolma sarà, come è prevedibile, la prossima naturale destinazione di Thorne, decisamente più inconsueta è stata la precedente tappa del suo percorso professionale: Hollywood. A due passi da dove insegna, Thorne ha preso parte, in qualità di produttore esecutivo, alla realizzazione di uno dei successi cinematografici della stagione 2014-15, Interstellar di Christopher Nolan (interpretato da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Michael Caine e Jessica Chastain). Come racconta lui stesso in The Science of Interstellar, i princìpi guida che si è posto nell’elaborare il soggetto sono due: 1) che nessuna situazione violi le leggi note della fisica; 2) che anche le idee più speculative scaturiscano dalla scienza vera. Il risultato è un film che, a dispetto della trama vertiginosa, risulta agli occhi di un fisico molto «realistico».

Distinguendo tra «verità» e «speculazioni scientifiche» in Interstellar, si può dire che la descrizione di Gargantua, il gigantesco buco nero attorno a cui orbitano i pianeti candidati a ospitare la specie umana, appartiene alla prima categoria (mai buco nero è stato rappresentato più accuratamente in un’opera di fantasia); così pure, è del tutto reale il rallentamento gravitazionale del tempo, che fa sì che le ore trascorse nei dintorni di Gargantua corrispondano a decine di anni sulla Terra. Invece, il cunicolo spazio-temporale (wormhole) che si apre vicino a Saturno e permette a Cooper (McConaughey) di raggiungere i nuovi pianeti rientra, al tempo stesso, tra le verità (trattandosi di una soluzione rigorosa delle equazioni del campo gravitazionale ottenuta dallo stesso Einstein) e le speculazioni, perché non sappiamo se qualcosa del genere possa davvero esistere.

L’idea chiave del film è quella delle dimensioni extra, ancora congetturale ma ben radicata nella ricerca teorica. Chi abbia letto Flatlandia, il celebre racconto satirico di Edwin Abbott, la può comprendere senza difficoltà. Gli abitanti del mondo bidimensionale immaginato dallo scrittore inglese fanno esperienza della terza dimensione quando vedono comparire improvvisamente un cerchio che prima si allarga e poi si restringe: si tratta, in realtà, di una sfera – essere tridimensionale – che attraversa la superficie piana su cui vivono i flatlandesi. Allo stesso modo, alcune anomalie gravitazionali osservate sulla Terra fanno capire al professor Brand (Caine) che esiste un iperspazio pentadimensionale (il cosiddetto bulk), di cui il nostro universo è una “brana” a quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale). Nessuno sa come sono fatti gli esseri del bulk e l’unico modo in cui si manifestano è attraverso la gravità. Dai protagonisti del film vengono chiamati “Loro”, e alla fine si intuirà che si tratta di nostri discendenti che sono riusciti ad acquisire una dimensione spaziale in più: uno di Loro è lo stesso Cooper, che, a bordo di un tesseratto (un ipercubo quadrimensionale), torna indietro nel tempo dalla figlia Murph, provocando quei misteriosi fenomeni che la ragazzina, all’inizio del film, attribuisce a un fantasma.

The Science of Interstellar svela una curiosità che, col senno di poi, non può non farci sorridere. Nel soggetto originario del film, risalente al 2006, Thorne si era posto il problema di spiegare la scoperta del wormhole. Aveva immaginato che Brand e i fisici di Ligo avessero captato delle onde gravitazionali provenienti apparentemente dalle vicinanze di Saturno. L’unica spiegazione plausibile di questa stranezza era che le onde emergessero da un wormhole e che la loro vera sorgente fosse dall’altra parte del cunicolo, nell’universo profondo. L’idea era ingegnosa e divertente, ma il regista, per evitare ulteriori appesantimenti, decise alla fine di scartarla. Non lo avrebbe sicuramente fatto se avesse presagito che le onde gravitazionali sarebbero di lì a poco diventate realtà. Certo, le onde viste da Ligo nel settembre 2015 provengono da due buchi neri lontani e non hanno attraversato alcun tunnel spazio-temporale. Ma Thorne situava l’osservazione del wormhole nel 2019. Rimane ancora un po’ di tempo...

Kip Thorne, The Science of Interstellar, W.W. Norton, New York. Alcuni brani del libro sono stati tradotti, con il titolo Loro siamo noi, nel n.19 di «Asimmetrie», rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

© Riproduzione riservata