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Alex Honneth, più Rawls che Marx

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FILOSOFIA POLITICA

Alex Honneth, più Rawls che Marx

Comunista. Karl Marx, 1875,   foto conservata all’International Institute  of  Social History, Amsterdam
Comunista. Karl Marx, 1875, foto conservata all’International Institute of Social History, Amsterdam

Axel Honneth, già allievo di Juergen Habermas e attuale Direttore della Scuola di Francoforte, ha scritto un breve saggio sulla necessità di concepire L’idea di socialismo come sogno necessario (come recitano rispettivamente titolo e sottotitolo del volume della cui edizione tedesca si è occupata Francesca Rigotti sulla Domenica del 15 novembre 2015). Il punto di partenza di Honneth è chiaro e a prima vista convincente: se la crisi del capitalismo attuale è quanto mai visibile e grave, come mai non ci sono movimenti antagonistici che abbiano una forza analitica e normativa paragonabile a quella della crisi stessa? La risposta, come si intuisce, consiste nella debolezza del socialismo perlomeno così come sulla scia di pensatori del passato quali Proudhon, Durkheim e soprattutto Marx lo avevamo concepito. Purtroppo, se la domanda e in generale l’approccio di Honneth sono –come detto- persuasivi, lo stesso non si può dire della sua proposta positiva. Nei quattro capitoli del libro, l’autore cerca di indicare le cause per cui il socialismo delle origini non ci convince (capitoli 1 e 2) e i motivi per cui invece un capitalismo adeguato ai nostri tempi potrebbe avere successo (capitoli 3 e4). L’idea di fondo è che il socialismo delle origini sia stato caratterizzato da un fondamentalismo economicistico e da una filosofia della storia metafisicamente orientata.

La congiunzione di economicismo e filosofia della storia avrebbe poi reso impossibile la costruzione di quella «comunità solidale» in cui si dovrebbe realizzare il socialismo della libertà come lo vuole Honneth. Tutto ciò è nel complesso ragionevole e storicamente evidente se si considera la difficoltà dei movimenti socialisti di avere rapporti fruttuosi con quelli radicali democratici. Le difficoltà nascono tuttavia quando dall’analisi storico-ricostruttiva si passa alla proposta positiva di un socialismo finalmente adatto ai nostri tempi.

Quest’ultimo dovrebbe imperniarsi su un alquanto opaco sperimentalismo storico che vede tra i suoi predecessori forse Castoriadis e Habermas ma sicuramente Dewey e Rawls. In buona sostanza, Honneth dice qui qualcosa di abbastanza scontato per la maggior parte dei suoi lettori, sarebbe a dire che il socialismo deve riconciliarsi con la democrazia e le istituzioni. In questo modo, più che eliminare il mercato capitalistico ne limiterebbe gli effetti politici. Questi ultimi sono innanzitutto di natura distributiva. E quindi, anche se non lo ammette mai esplicitamente, Honneth suggerisce che il nuovo socialismo che ci promette coincide in buona sostanza con una teoria della giustizia distributiva.

A conferma di questa tesi –leggendo l’indice dei nomi- troviamo dieci volte quello di Rawls e solo due quello di Habermas. El’exergo iniziale è preso da Walt Whitman poeta simbolo dei democratici americani. Per concludere, il nuovo socialismo di Marx assomiglia tanto a un left liberalism. A me non dispiace, ma francamente un po’poco per chi si aspettava un sogno socialista...

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