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Cultura e identità come processi storici

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MAURIZIO BETTINI

Cultura e identità come processi storici

Maurizio Bettini torna alle radici. Aveva già proposto, per il Mulino, un’insieme di riflessioni acute (Contro le radici, 2012); ora, con Radici. Tradizione, identità e memoria, sempre per i tipi della casa editrice bolognese raddoppia la casistica, passando da Virgilio e dalla «topografia leggendaria» dei luoghi in Terra Santa alla sua Livorno, con il centro pieno d’immigrati, la cui immagine antica si stempera nella nostalgia; dalle pretese identità alimentari del Paese alle “radici culturali” che – a seconda dei casi – sono evocate per includere o escludere, senza soluzione di continuità. Vedi l’esempio delle famose radici cristiane, ora spese in chiave universalistica e solidaristica, ora brandite da leader politici contemporanei, come l’ungherese Orbàn, per evocare la necessità di arginare una nuova invasione musulmana. Come nel Seicento.

Le pagine sull’alimentazione, a dimostrazione di una mappa gastronomica in perenne movimento, riassumono in pochi cenni il debito contratto con l’America e con l’Asia, soprattutto dal XVI secolo a questa parte: pomodori, peperoni e peperoncini, melanzane (acquisizione relativamente recente), per non dire del mais e della polenta, di cui Bettini ricostruisce un itinerario incredibile, dall’America centrale al Portogallo, dal Portogallo all’Angola, dall’Angola al Brasile.

L’idea che informa questo agile e sapido volume, scritto con la consueta maestria, è fondamentalmente una: la distinzione fra lo studio di culture/identità come processi storici, differenziati e comparabili, e l’affermazione di culture/identità come valori centripeti, da usare come oggetti contundenti nello spazio agonistico delle relazioni politiche e sociali.

Bettini, svelando la fragilità e il corto respiro dei luoghi comuni che si vorrebbero granitici, “eterni” o stabiliti da mitici eventi fondativi, ritorce la classica argomentazione relativista contro chi si erge a strenuo difensore di presunte, inossidabili civiltà. La sua è una vittoria facile: sotto il profilo intellettuale, ben poco resiste alla critica demolitrice degli stereotipi, come ha insegnato fra i primi Walter Lippmann subito dopo la Grande Guerra.

Peccato però che i selezionatori di culture/identità a fini strumentali coltivino ben scarsi interessi per le medesime culture/identità di cui si proclamano banditori, come dimostrano in genere la superficialità e anche la scarsa erudizione di tante narrazioni ad usum delphini: a loro premono gli effetti, cioè il grado di condizionamento dell’opinione pubblica, qui e ora. Ragion per cui, nonostante le puntuali osservazioni e l’ironia di Maurizio Bettini – le cui pagine potrebbero essere prescritte come un rimedio omeopatico contro l’affievolirsi non già del senso delle radici, ma del buon senso – non è male consegnarsi, guardando al futuro con qualche preoccupazione, ai versi sempreverdi di Eugenio Montale: «La storia non si snoda / come una catena / di anelli ininterrotta. / In ogni caso / molti anelli non tengono».

Maurizio Bettini, Radici. Tradizione, identità, memoria, il Mulino, Bologna, pagg. 132, € 12

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