Cultura

L’era della scienza piratata

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LA RIVOLUZIONE SCI-UB

L’era della scienza piratata

Gli scienziati si pongono delle domande, pensano a come arrivare ad una soluzione e, alla fine del percorso, informano la comunità dei loro colleghi, in ogni angolo del mondo, dei risultati che hanno ottenuto pubblicando un articolo su una rivista internazionale. La scelta della rivista alla quale mandare il lavoro non è mai banale, dal momento che le riviste non sono tutte uguali. Ci sono quelle eccellenti, quelle buone, quelle così cosi e quelle scarsine. Il tutto è riassunto in un numero: l’indice di impatto che rappresenta il “peso” della rivista.

Dal momento che gli scienziati vengono poi valutati in base alle loro pubblicazioni, tutti cercano di pubblicare sulle riviste di peso maggiore, che hanno però standard molto alti e accettano solo una frazione dei lavori che ricevono.

In generale, ma non sempre, la pubblicazione è gratuita per l’autore che ha superato il vaglio dei giudici scientifici che hanno esaminato il lavoro. Tuttavia, gli editori delle riviste non fanno beneficenza: se pubblicare è gratuito, consultare l’articolo richiede un pagamento il cui ammontare varia da rivista a rivista. Ogni anno le biblioteche delle università e dei centri di ricerca valutano a quali e quante riviste abbonarsi Curiosamente, non sono le riviste più importanti quelle più care. Proprio perché importanti, possono contare su molti abbonamenti e, a volte, su introiti pubblicitari. Le riviste più specializzate, invece, sono decisamente più costose e non tutti si possono permettere l’abbonamento. Così, se ho proprio bisogno di una rivista alla quale la mia biblioteca non è abbonata scrivo ad amici che afferiscono ad altre biblioteche fino a quando la trovo.

Ovviamente, questo non succede spesso, il mio istituto mi garantisce l’accesso a tutte le maggiori riviste nel mio settore. In molte parti del mondo, però, questo non è vero e ricercatori faticano molto a trovare gli articoli che devono leggere per poter svolgere la loro ricerca. Senza i finanziamenti per gli abbonamenti si può chiedere aiuto via twitter, sperando di convincere colleghi più fortunati a scaricare l’articolo richiesto, oppure ci si organizza per superare il muro degli abbonamenti e mettere in rete i preziosi articoli.

Così dalla frustrazione di Alexandra Elbakyan, una studentessa kazaka povera di mezzi ma ricca di idee basate su una profonda conoscenza dei sistemi di sicurezza informatici, è nato Sci-hub, una approssimazione della biblioteca universale a disposizione di tutti. Dato il titolo di un articolo, Sci-hub recupera il testo e lo archivia a beneficio di altri che potrebbero averne bisogno. La brillante Alexandra non fa magie, è semplicemente riuscita a convincere un consistente numero di ricercatori a fornire le loro credenziali legittime per entrare nei siti a pagamento. La versione non è univoca, alcuni sostengono che le credenziali siano state carpite con l’inganno.

Sia come sia, Sci-hub ospita 50 milioni di articoli scientifici che spaziano su tutte le discipline. I più assidui frequentatori sono gli Iraniani, seguiti da Indiani, Cinesi, Russi e Americani. Mentre è chiaro perché il sito venga usato da scienziati o studenti in nazioni che hanno problemi a pagare gli abbonamenti, non si capisce perché si registrino decine di migliaia di download da campus universitari USA che garantiscono ai loro affiliati l’accesso a tutte le riviste. Chiedere le credenziali in biblioteca è più lungo che cercare in Sci-hub? Lasciando da parte gli studenti pigri, non si può dimenticare che la pratica, pur nella sua valenza utopica volta a condividere la conoscenza, è chiaramente illegale e l’ideatrice, se mettesse piede in occidente, sarebbe passibile di galera e multe salatissime.

La casa editrice Elsevier, notoriamente cara, è di gran lunga la più piratata. Per questo ha chiesto e ottenuto la condanna del sito. Una vittoria dagli scarsi risultati pratici dal momento che Sci-hub è basato in Russia, fuori dalla giurisdizione delle leggi del copyright e l’ideatrice non ha una fissa dimora. È una situazione che ricorda i mitici siti della pirateria musicale tipo Napster e Pirate Bay più volte condannati dai tribunali, più volte chiusi e altrettante volte risorti altrove perché un sito come Sci-hub ha la forza nei numeri degli utilizzatori, che si attestano su circa 6 milioni al mese. Come evolverà il copyright nell’editoria scientifica? È meglio battersi contro Sci-hub, e impedire ai meni abbienti l’accesso alle informazioni, oppure sarebbe il caso di trovare soluzioni alternative? Di sicuro sia in Europa che negli Stati Uniti ai ricercatori che ricevono fondi pubblici viene chiesto di rendere pubblicamente accessibili i loro risultati e le pubblicazioni ce ne derivano. Ovviamente ci sono diversi mezzi per rendere pubblici i propri articoli.

Si può ricorrere a database aperti dove si possono depositare i testi degli articoli dopo che sono stati pubblicati da riviste più o meno prestigiose, oppure ricorrere a riviste open access, dove il costo di pubblicazione è coperto degli autori e nulla è chiesto ai lettori. Purtroppo, però, nel mondo dell’open access sono poche le riviste di grande impatto mentre sono moltissime quelle di infima qualità pronte a pubblicare ogni schifezza pur di incassare le spese di pubblicazione.

L’editoria scientifica è chiaramente davanti a scelte che vedono contrapposti gli interessi delle case editrici, che vogliono difendere i loro guadagni, con quelli degli studiosi che vorrebbero accedere gratuitamente (o quasi) ai contenuti delle riviste. Battersi contro i siti pirata è legalmente ineccepibile, ma non è destinato a sortire grandi risultati, è un po’ come lottare contro i mulini a vento. Nel mondo della musica la pirateria è stata battuta dalla possibilità di scaricare i brani legalmente a prezzi ragionevoli. Di sicuro, indipendentemente dalle dispute sul copyright, gli scienziati hanno grande simpatia per Sci-hub e per tutti i mezzi di rendere la conoscenza più open possibile.

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