Cultura

«L’eutanasia è di moda, ma chi me la fa?»

  • Abbonati
  • Accedi
UMBERTO SABA INEDITO

«L’eutanasia è di moda, ma chi me la fa?»

Amici. Quarantotti Gambini nel suo studio a Venezia negli anni Cinquanta
Amici. Quarantotti Gambini nel suo studio a Venezia negli anni Cinquanta

Umberto Saba non voleva che la figlia Linuccia studiasse, preferiva cercarle, d’accordo con la moglie Lina, un buon partito o al massimo un impiego come segretaria. Per ironia della sorte alla sua morte Linuccia si trovò a cimentarsi nell’impresa delicatissima di curare i suoi epistolari, rivestendo questo ruolo con una petulanza che rasentava l’ossessione, tormentando i “corrispondenti” per ricevere materiali e precisazioni. Capitò così anche con Pier Antonio Quarantotti Gambini, lo scrittore che il poeta triestino considerava «il solo tra i giovani che avesse il senso dello stile; il solo che capisse qualcosa della vita e dei suoi problemi», come sottolineò in una lettera del ’53. Un giovane che Saba incitava a scrivere e a cui era legato dall’affetto del maestro per l’allievo prediletto; e, nonostante Quarantotti fosse un pezzo d’uomo che rasentava i due metri, il poeta lo chiamava “bambino Pierantonio” dandogli del tu, mentre l’altro continuava con il lei anche quando aveva oltrepassato i quaranta.
Riguardo al carteggio, Linuccia fu addirittura assillante con l’autore de L’onda dell’incrociatore, rimproverandogli poca sollecitudine nelle risposte. E quell’epistolario, anche perché Linuccia voleva affrettare l’operazione commerciale, era uscito con Mondadori nel 1965 zoppo, mutilato di diverse lettere e con una certa propensione a dare luce alla figura del padre. Con un lavoro certosino Daniela Picamus, studiosa e autrice di testi importanti sull’autore istriano, in Caro 48. Carissimo Saba (edito da Libreria Antiquaria Drogheria 28 e prodotto dall’Irci, l’istituto regionale per la cultura istriano-fiumano Dalmata, ora nelle librerie) ha reinserito le missive inedite e le parti omesse di quelle già note restituendo il carteggio, intercorso tra i due scrittori dal 1930 al 1957, nella sua integralità.

Ci sono ventisette nuove lettere, mentre altre cinque sono state ricostruite nella loro interezza, ritrovate da Picamus nell’archivio di Quarantotti Gambini acquisito dall’Irci, grazie alla fiducia che il direttore Piero Delbello e il presidente Franco Degrassi hanno saputo guadagnarsi dalla famiglia dello scrittore istriano, che ha donato all’istituto triestino anche parte della biblioteca. In tutto si tratta di 103 lettere, 76 di Saba e 31 di Quarantotti Gambini, in un rapporto sproporzionato anche perché tutte le lettere scritte da Quarantotti prima della guerra sono andate perdute assieme ai documenti nella casa di Saba saccheggiata dai nazifascisti.
Gli inediti rivelano importanti novità sul piano personale soprattutto sull’ultimo periodo del poeta: «col consenso del medico vado avanti con la morfina». ..,. «La mia vita - lo so, lo sento - è completamente finita, ed invoca a gran voce l’eutanasia. Ma - benché ora sia di gran moda - dove trovare la persona che me la faccia?», scrisse a Pier Antonio nel marzo 1950 mentre era ricoverato in una clinica romana per disintossicarsi.

La salute era un argomento importante: Umberto ebbe cura di spronare il giovane amico quando negli anni Trenta una malattia polmonare lo costrinse al sanatorio «... specialmente nell’apicite, niente giova tanto quanto lo stato d’animo del paziente: la volontà di guarire può quasi tutto. Se devo dirti la verità, io credo che la maggior parte dei giovani che si ammalano del tuo male, lo fanno per paura della vita. È una paura naturale ai 20 anni... Ma quando si hanno 40 anni, ecco che quella paura giovanile fa ridere, come la paura del bambino quando fa i primi passi. È una deliziosa goffaggine».
Saba finalmente aveva trovato una cura alle sue nevrosi con la terapia intrapresa con Edoardo Weiss dal 1929 al 1931 ed era completamente imbevuto di psicoanalisi: «Parlargli (al giornalista e critico Mario Gromo n.d.r.) della traduzione italiana dell’opera di Freud Totem e Tabù... Freud è un nome mondiale, ed a Gromo non dovrebbe dispiacere di avere fra i suoi libri il suo nome».
Tra le tante coloriture intime il poeta sconsiglia al giovanissimo amico di abbandonare la facoltà di giurisprudenza che frequentava a Milano e cerca di dargli dei suggerimenti letterari: «Se torni dalla villeggiatura con la seconda stesura di Rosa Rossa è bene, se non forse ancora meglio. Mi sta a mente che quel delizioso romanzo ti lavora dentro, e che per questo non lo termini. Forse più aspetti e meglio ti riuscirà. Naturalmente anche aspettare troppo sarebbe male perché, in questo caso, ti allontaneresti troppo dalla costellazione intima dalla quale è nato. Ma troverai sicuramente l’ora fatale, cioè quella giusta». Il rapporto si rafforzava della stima reciproca sul piano letterario. Il poeta dimostrava di apprezzare anche i lavori successivi alla Rosa Rossa. Di Saba è l’idea del titolo L’onda dell’incrociatore, venuto «mentre mangiavo una fetta di anguria in Piazza del Ponterosso». L’intuizione del poeta, già pubblicati nell’edizione Einaudi del 1948 del libro di Quarantotti, nascono proprio dalla corrispondenza privata del 12 settembre del 1945 e - come fa notare Giorgio Baroni nell’introduzione -, è stata la curatrice a chiarirlo per la prima volta.
Dalla sua, Pier Antonio aveva il privilegio di ricevere in anteprima i versi di Saba ed esprimere tutta la sua ammirazione, specialmente per Mediterranee. Ma ci furono anche periodi di raffreddamento, soprattutto sulla questione politica triestina, che portò alla rimozione di Quarantotti Gambini dall’incarico di direttore della biblioteca con la falsa accusa di aver avuto comportamenti fascisti e antisemiti durante la Seconda guerra mondiale e che lo portò a vivere in maniera stabile a Venezia.
Saba lo difese assieme ad altri intellettuali con una petizione pubblica: non aveva mai dimenticato quando 48, come lo chiamava lui, aveva presidiato assieme a Linuccia la libreria di via San Nicolò 30, mentre il poeta era fuori città durante l’attacco degli squadristi del 1941. Ma successivamente Saba non si astenne dal rimproverare all’amico la ritrattazione del suo appoggio a una lista cultura nata a Trieste sotto le elezioni del ’48, mentre Quarantotti Gambini rivendicava il dolore per le terre istriane che il Memorandum di Londra del 1954 aveva assegnato alla Jugoslavia. Ma alla fine del ’53, dopo essere stato minacciato di pestaggi e di morte per aver pubblicato nel ’49 sul «Corriere della Sera» un articolo dal titolo Se fossi nominato governatore di Trieste si trova a dar ragione all’amico: «... a Trieste io non posso vivere. Ti prego anzi di non parlarmi di questa maledetta questione adriatica».
Tra le righe anche gustose invettive del poeta contro alcuni intellettuali, tra cui Riccardo Bacchelli: «L’incaramellato filisteo ha parlato solo di Benco, per ringraziarlo di aver lodati i suoi romanzi» e Piero Calamandrei «Il tono con il quale mi scrisse qul medico dei matti non mi è piaciuto», che pareggiano un annotazione di Quarantotti Gambini «... la filosofia di Croce è nata in cesso. Lui stesso lo ha confidato a uno che lo intervistò recentemente... Ma Croce oggi è un vecchietto, e credo che sia meglio non ripetergliele: va trattato con delicatezza, come ha fatto lei».

Umberto Saba. Pier Antonio Quarantotti Gambini, Caro 48. Carissimo Saba. Lettere edite e inedite 1930 1957, a cura
di Daniele Picamus, Libreria Antiquaria Drogheria 28, Trieste, pagg. 144, € 15

© Riproduzione riservata