Cultura

Memoria e storie dagli oggetti

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MIRABILI

Memoria e storie dagli oggetti

  • –di Stefano Salis
Oggetti quotidiani. Una delle vetrine del Museo dell’Innocenza costruito da Orhan Pamuk a Istanbul, ora oggetto del documentario di G.Gee
Oggetti quotidiani. Una delle vetrine del Museo dell’Innocenza costruito da Orhan Pamuk a Istanbul, ora oggetto del documentario di G.Gee

«Volevo scrivere un romanzo che avesse la stessa forma degli oggetti in un museo, così che, percorrendo le stanze del museo, si potessero osservare gli articoli esposti e ricordare il romanzo. E volevo che i lettori avessero la possibilità di vedere gli stessi oggetti che i personaggi utilizzavano nel romanzo. C’è chi ha letto il romanzo e sa che esiste un museo che contiene tutti gli oggetti raccontati nel libro. E c’è chi visita il museo e scopre che esiste un romanzo che parla degli oggetti esposti. Qualcuno penserà che si tratta di un paradosso alla Borges, ma la metà dei visitatori del museo non ha letto il romanzo. Lo visitano pensando che si tratti semplicemente di un’altra attrazione culturale di Istanbul». Parla Orhan Pamuk, in un’intensissima intervista che è, insieme, dichiarazione di poetica, tecnica d’officina, spiegazione al pubblico, incanto e magia della letteratura. Il Nobel turco è in tv e parla a un giornalista che, miracolo, interviene poco, sta ad ascoltare e pone domande pertinenti. L’intervista ritorna, spesso, nella “narrazione” di un documentario sull’opera più ambiziosa e incredibilmente coerente che Pamuk ha scritto, Il museo dell’innocenza. Il documentario è molto bello, denso di una Istanbul notturna, sognata e realissima (quinta perfetta del romanzo di Pamuk, anzi, personaggio essa stessa), è stato realizzato da Grant Gee e si intitola Istanbul e il Museo dell’Innocenza di Pamuk. In Italia è stato visto in due serate speciali al cinema (prossime date a Milano, il 29, al Ducale e all’Arcobaleno, calendario repliche suwww.nexodigital.it/eventi-in-replica/). È un film magnetico, che mischia continuamente la dimensione del vero e della fiction, proprio come fa il romanzo. E il museo. La cosa strabiliante dell’idea di Pamuk è che l’ha avuta, l’ha affinata e, infine, l’ha realizzata: nella realtà! La storia d’amore di Kemal e Fusun è così “oggettivata” dalle vetrine del museo (che corrispondono ai capitoli del romanzo): storia d’amore, ma anche di collezionismo, misteriosa e intensa, che rivela come un luogo reale possa nascere dalla forza dell’immaginazione e della scrittura. È, in ultima analisi, letteratura che si fa realtà; e viceversa. Il capolavoro “borgesiano” di Pamuk sta proprio nel non aver mai esplicitato il confine: perché è questa la forza della miglior letteratura (e questo è un romanzo sperimentale nella più nobile accezione), il saper tracimare nella realtà oggettiva e farsene anzi la più intima voce. Gli oggetti quotidiani e banali che Pamuk ha raccolto nei mercatini per metterli nel romanzo (e nel museo, che inizia a girare, recentemente è stato a Londra) ci dicono che sono lì a testimoniare, appunto, delle storie. La memoria degli oggetti che tocchiamo e con i quali ci confrontiamo (e non perdetevi il catalogo del museo, uscito qualche anno fa da Einaudi, pagg. 270, € 32,00) è il racconto più segreto delle nostre esistenze. Messi accanto, gli oggetti hanno una forza enigmatica, che è quella di “interpretare”, immediatamente, una storia, la nostra. Il documentario di Gee non dimentica di ribadire tale forza: nelle inquadrature, che vagano nelle strade di Istanbul, nei primi piani, nelle voci fuori campo, in quella di Pamuk che torna dalla tv, il sogno e la poesia convivono con la banalità del quotidiano. È la meraviglia dell’esistenza, ma anche la potenza di uno scrittore, sopraffino intenditore di letteratura, che sa cosa ci fa umani più di molto altro: il raccontare. Il raccontarsi, e offrire le nostre storie alle storie altrui, in un’incessante costruzione di senso, di memoria, di identità. Di vita. E, sì, ancora – borgesianamente – di letteratura.

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