Cultura

Messico con Dylan e Buñuel

  • Abbonati
  • Accedi
riflessi nel grande schermo

Messico con Dylan e Buñuel

«Güeros» di Alonso Ruizpalacios. Tenoch Huerta (Sombra)
«Güeros» di Alonso Ruizpalacios. Tenoch Huerta (Sombra)

Se la vita fosse una stazione ferroviaria, i poeti non sarebbero i molti che salgono e scendono dai treni, ma chi li sta a guardare. Così dice Federico (Tenoch Huerta) ai compagni di “viaggio”: la sua Ana (Ilse Salas), il fratello minore Tomás (Sebastián Aguirre) e l’amico Santos (Leonardo Ortizgris). Seduti in un’auto malandata – quinto passeggero è l’occhio della cinepresa –, i quattro vanno alla ricerca di Epigmenio Cruz, epico e misterioso cantante degli anni Sessanta che Tomás ancora ascolta con un walkman e una vecchia audiocassetta. Una volta Epigmenio ha fatto piangere Bob Dylan, ripetono lui e Federico, detto Sombra, ricordando le parole del padre (l’aneddoto è ispirato a quello che sembra abbia davvero fatto nel 1961 Woody Guthrie, che Dylan era andato a trovare in un ospedale del New Jersey). Ora invece, con il fegato distrutto dall’alcol, il loro idolo sta morendo da qualche parte a Città del Messico, nascosto tra i venti milioni che la abitano.

Dura ventiquattro ore il viaggio metropolitano di Güeros (Messico, 2014, 106’). Girato in un coinvolgente bianco e nero da Alonso Ruizpalacios, che lo ha scritto con Gibrán Portela, il film è ambientato nel 1999, quando Ruizpalacios aveva ventuno anni, sullo sfondo di una lunga occupazione dell’Università. Una mattina, dunque, Sombra, Tomás e Santos salgono molto alla svelta sulla loro auto e fuggono, inseguiti da un vicino cui da tempo rubano la corrente con la complicità divertita della figlia (a loro si aggiungerà Ana, attivista del movimento studentesco). Sombra non esce di casa da settimane, neppure per lavorare alla tesi di laurea. Glielo hanno impedito attacchi di panico improvvisi e ricorrenti, come se accanto a lui, sdraiata sul suo letto, una tigre lo guardasse negli occhi. Ora, da questa mattina a quella che verrà, deve imparare a guardarla lui negli occhi, la belva splendida e terribile. Un aiuto potrà forse venirgli da Epigmenio, quando lo ritroveranno.

Ci sono molte storie in Güeros. A raccontarle pare sia direttamente la capitale del Messico, che i quattro viaggiatori percorrono dai quartieri del Sur a quelli del Poniente, e poi dalla Ciudad Universitaria al Centro e infine all’Est, come indicano con puntiglio scritte sovraimpresse alle immagini. Via via, dal grande corpo della città emergono bande di ragazzini maneschi che si rivelano però ingenui e indifesi, universitari che si battono per la rivoluzione e intanto litigano per amore, autostrade urbane rigurgitanti di auto che prendono vita e si disputano l’asfalto, case che dormono nel silenzio e nella polvere di periferie dimenticate, animali in uno zoo, miseri prigionieri che lo sguardo dei fuggitivi rende favolosi. Ed Epigmenio? Quando i quattro lo scoveranno, vinto e silenzioso, si mostrerà al di sopra di sé stesso, più grande del suo mito. Poco importa se il vecchio cantante testardo non sarà d’aiuto per nessuno, men che meno per Sombra.

Nel “racconto materiale” della metropoli c’è infine il cinema, con le sue anteprime, i suoi intellettuali verbosi e il suo snobismo, ma anche con la memoria viva del Luis Buñuel messicano e dei film in bianco e nero di quegli anni lontani e gloriosi. D’altra parte, si lamentano Sombra e gli altri, ancora oggi agli europei basta che un nostro film racconti miserie e disperazioni in bianco e nero, per giudicarlo un capolavoro. Forse per questo, per il gusto di prendersi gioco di pregiudizi radicati, proprio in bianco e nero – qua e là citando Los olvidados (1950) – la regia e la sceneggiatura mettono in scena una metropoli ricca di vita e umanità.

Così Alonso Ruizpalacios vede la sua città sconfinata, e così la fa vedere a Sombra, ad Ana, a Tomás, a Santos. Come è suggerito nella metafora della vita e della stazione ferroviaria, la poesia di Güeros sta nei loro occhi, prima e più che in ciò che vive e si muove a Città del Messico. E sta, certo, nella macchina da presa, il quinto viaggiatore che li vede e li racconta nel loro stupore, ora spaventati, ora incuriositi, ora divertiti.

© Riproduzione riservata