Cultura

La Wolfsoniana di Genova

  • Abbonati
  • Accedi
musei studiati

La Wolfsoniana di Genova

Comprò il treno dove sedeva Marylin Monroe in A qualcuno piace caldo e invitava gli amici per viaggi indimenticabili alla scoperta degli States. Mitchell Wolfson, Jr. era capace di organizzare un party sul binario. Le signore genovesi, tra i suoi ospiti, ricordano con nostalgia e ancora un po’ di eccitazione quegli attimi da film, in cui scendevano dalle carrozze in abito lungo e bevevano champagne con gli amici americani che Micky aveva chiamato a salutare il loro passaggio.

Nel sentirlo raccontare la propria vita la realtà si mescola alla fantasia, la storia con il sogno, il passato con il presente. Ma ultimamente è diventato sempre più riflessivo.

«La materia di ogni singolo pezzo della mia raccolta contiene lo spirito umano che lo ha determinato». Così Wolfson spiega ciò che lo sempre affascinato di ciascuno degli oltre 170.000 pezzi di arte decorativa e industriale tra il 1880 e il 1945 assemblati da quando aveva dodici anni. Ora il collezionista americano ne ha settantasei e ha più tempo per pensare. Nonostante resti un instancabile globetrotter, sempre in viaggio tra Miami Beach, sua città di nascita e sede del suo museo Wolfsonian, Parigi, dove ora trascorre gran parte del tempo, e Genova, la città tanto amata a cui ha donato parte della raccolta. È invitato a riflettere su ciò che ha veramente significato per lui collezionare: «È sempre stato un divertimento, una passione, ma prima di tutto una missione. Oggi opera è un frammento della storia dell’umanità che abbiamo il dovere di preservare perché le nuove generazioni imparino dal passato».

Il volume La Wolfsoniana. Immagini e storia del Novecento” (176 pp., italiano e inglese, Sagep, Genova 2016, 28 €), curato dai conservatori Matteo Fochessati e Gianni Franzone, nasce per festeggiarne i dieci anni dall'apertura al pubblico. «Non chiamatelo museo», insiste Wolfson ogni volta che si parla della raccolta conservata a Nervi. Dal 2006 vi sono esposte parte delle opere lasciate alla città di Genova e ora amministrate da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Il libro non intende neppure assomigliare all’impresa folle di schedare ogni singolo manufatto. È piuttosto un «viaggio alla scoperta di fatti e personaggi del Novecento», spiegano gli autori, «attraverso moltissimi oggetti, non solo opere d’arte tradizionalmente intese». I pezzi nella loro eterogeneità consentono di leggere per immagini e storie sia l’evolversi degli stili, sia il susseguirsi dei fatti politici, sociali e bellici. Lo straordinario serbatoio di memoria costituita dalla raccolta genovese, gemella di quella americana, è così organizzata in senso cronologico, ma anche tematico. Con un risultato di completezza che anche Wolfson, ammette, chiarisce quello che lui stesso aveva iniziato a intuire solo con l’apertura al pubblico: «Ho raccolto oggetti forse senza rendermi conto dell’importanza che potevano avere nella loro coralità, come tasselli di un mosaico».

Quel “mosaico” è il secolo scorso. Basta una Fioriera disegnata da Galileo Chini intorno al 1920 per le Terme Berzieri di Salsomaggiore, o un suo progetto per le vetrate di un palazzo nella concessione italiana di Tiensin, in Cina, per capire l’ondata di esotismo che contaminò il gusto italiano del tempo. Un salotto in mogano della ditta milanese Luigi Fontana & C. del 1902 si conserva integro insieme al fascino autentico della Belle Époque. Un esemplare del Manifesto del Futurismo pubblicato su Le Figaro nel 1909 e manifesti propagandistici della Grande Guerra testimoniano momenti di entusiasmo miope che stridono con le immagini assai più drammatiche di pochi anni dopo. E poi di nuovo l’eccitazione con documenti per la Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932. Ma anche servizi da tè e caffè coloratissimi, bizzarre poltroncine e credenze dall’insolita foggia per parlare di Déco. Giocattoli e mobili in miniatura per immergersi nell’universo dei bambini che vissero quell’epoca singolare di sospensione tra le due guerre. Arredi e studi per gli interni dei transatlantici per rivivere l’eccitazione di quei viaggi. Modellini di aerei e treni per ricordare quando l’uomo pensava davvero di poter conquistare terra e cielo. E così via, fino al design che oggi fa prezzi importanti alle aste, ma che quando lo comprava Wolfson era considerato solo roba vecchia e di cattivo gusto. «Non sono mai stato attratto dalla bellezza di un pezzo. Né mi interessano le gerarchie estetiche», spiega perentorio. «Ho comprato quello che la gente teneva nascosto nei cassetti o in cantina. Talvolta aveva addirittura rimosso». E chi rideva delle sue scelte strambe oggi è costretto a salutarlo come deus ex machina di una realtà collezionistica unica al mondo.

La Wolfsoniana. Immagini e storia del Novecento
, a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone (italiano e inglese), Sagep, Genova, pagg. 176, € 28

© Riproduzione riservata