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Mar Giallo, uno spazio per le spezie

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Mar Giallo, uno spazio per le spezie

La Mappa di John Selden, inchiostro su carta, Tarda dinastia  Ming (1624), Oxford,  Bodleian  Library
La Mappa di John Selden, inchiostro su carta, Tarda dinastia Ming (1624), Oxford, Bodleian Library

Definito da John Milton come «il massimo degli uomini colti celebrati in questo Paese», John Selden fu un protagonista della vita politica e culturale inglese del primo Seicento. Nato in età elisabettiana, morì settantenne nel 1654, l’anno in cui l’Inghilterra cromwelliana imponeva all’Olanda sconfitta le sue leggi sulla navigazione.

Membro del Parlamento, giurista di eccezionale talento e prestigio, storico, erudito, orientalista, fu lui a lasciare in eredità alla Bodleian Library di Oxford, insieme con altri preziosi libri e manoscritti, una spettacolare mappa della Cina meridionale di oltre un metro di larghezza per quasi due di altezza, disegnata a mano con inchiostro nero: «Un’opera d’arte e un paesaggio mentale [...] del modo in cui in passato un cartografo aveva immaginato il mondo asiatico che vedeva». Delineata con mirabile perizia da un cinese agli inizi del secolo, pullulante di improbabili piante fiorite, edifici, farfalle, munita di un’inconsueta rosa dei venti e di elusive annotazioni, essa restò a lungo confinata tra le preziose curiosità conservate nella celebre biblioteca, dove per secoli ben pochi furono in grado di decifrarla e capirla. Solo di recente essa è stata riscoperta, restaurata e studiata in ogni dettaglio, rivelandosi – a prescindere dalla sua intrinseca qualità – uno straordinario documento storico in grado di raccontare molte cose su quel mondo solo apparentemente lontano nello spazio e nel tempo.

Con il grande sapere e la non comune verve narrativa con cui è capace di metterlo al servizio del lettore, il sinologo canadese Timothy Brook spiega per filo e per segno la storia e il significato di questa mappa, inoltrandosi in un imprevedibile percorso che si snoda attraverso «il rogo delle stampe erotiche giapponesi a Londra, le politiche commerciali dell’imperatore Wanli, il modello della bussola cinese, l’intenzionale errore di ortografia di Samuel Taylor Coleridge sulla parola Xanadu, la donazione di resti umani alla Biblioteca Bodleiana e la chiesa ancestrale dei Cavalieri Templari», e ancora molto di più.

Ne emerge anzitutto l’eccezionalità della mappa, vero e proprio unicum nella documentazione cinese di quei decenni, anche perché non si tratta di una mappa vera e propria ma di una carta nautica che traccia le principali rotte commerciali del Mar cinese meridionale. «Invece di lasciare che i contorni delle terre dominassero il paesaggio mentale che aveva tracciato, il cartografo aveva spinto le sagome delle terre alla periferia e ci invitava a contemplare il mare». Una mappa che diventa infatti più imprecisa man mano che si allontana da quel centro (verso il Giappone per esempio) o si inoltra sul continente, destinata quindi non alla politica ma ai traffici commerciali, non a definire e legittimare le istanze identitarie e imperialiste di qualche potente dinastia ma a tracciare le rotte delle spezie, dell’argento e della ricchezza: non una mappa della Cina, ma del Mar cinese meridionale; non una mappa per politici e guerrieri, ma per navigatori e mercanti.

«Le nazioni politiche, compresa la Cina dei Ming, non interessavano al nostro cartografo», così come ai Ming non interessava il mare a partire dal quale quella mappa era stata disegnata. Era comunque un oggetto raro e prezioso, da custodire con cura, per evitare di divulgare i segreti a esso affidati, e quindi preda ambita di intraprendenti marinai europei a caccia di fortuna in Asia, come John Saris, colui che probabilmente la portò in Inghilterra.

Tutt’altro che neutrale, come del resto qualunque carta geografica, quella mappa si intrecciava infatti con l’aggressivo espansionismo delle Compagnie commerciali europee, con la sempre più invadente presenza di mercanti olandesi (i «capelli rossi» nel linguaggio degli asiatici), portoghesi, inglesi e spagnoli (le «gole bianche») e con le loro rivalità, spesso risolte a colpi di cannone, mentre in Europa le migliori teste giuridiche disputavano sul nascente diritto della navigazione.

Fu allora che il giovanissimo Ugo Grozio teorizzò a beneficio della Compagnia olandese il Mare liberum, proprio mentre essa lo negava con la forza agli inglesi in Cina, e lo stesso John Selden gli rispose con il principio del Mare clausum intorno all’Inghilterra proprio mentre i mercanti inglesi cercavano di scardinare il monopolio olandese nelle lontane isole delle spezie. Eppure il suo motto era «sopra tutto la libertà», e per difendere le libertà garantite dalla Magna charta ebbe anche a subire il carcere nella Torre di Londra. Ma, com’è noto, nulla è più morbido e plastico del diritto nella sua inesausta capacità di adeguarsi agli interessi costituiti.

Mentre lo sterminato impero cinese si ritirava via via da ogni espansionismo politico e commerciale sul mare, insomma, quella mappa mirava a guidare le rotte delle giunche cinesi. Anche questa contraddizione diventa uno strumento nelle mani di Brooks per ricostruire i molti e diversi itinerari di coloro – tra eruditi oxoniensi e avventurieri in Oriente – che in vario modo ebbero a che fare con quel foglio di carta, straordinario specchio delle difficili connessioni storiche che in quell’epoca si vennero a creare tra universi umani e culturali fino ad allora rimasti molto distanti.

Del resto, come l’autore dimostra con grande efficacia, quella carta geografica fu esemplata anche su mappe europee. Incunabolo della globalizzazione economica (nonché delle dispute sulle acque territoriali, sulla sovranità e il diritto di sfruttamento dei mari che infiammano ancor oggi aspre contese politiche tra Stati), essa disegna alcune linee dell’imponente trasformazione del mondo che allora si verificò. A solcarne gli oceani, infatti, non erano più solo le esili caravalle dei conquistatori, ma non meno di diecimila velieri a caccia di avventurosi profitti, le cui avanguardie cercavano di insediarsi anche in quei lontano mare asiatico, dove tutto – a cominciare dalla lingua e dal modo di pensare che essa implicava – sembrava tracciare le barriere di una incomprensibile diversità appena scalfita dall’impegno missionario gesuitico. E fu appunto un cinese convertito dai gesuiti, Michael Shen Fuzong, il primo a capire qualcosa di quella carta quando nel 1685 ebbe modo di studiarla negli austeri saloni della Bodleian Library.

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