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Le ragioni prima dei princìpi

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filosofi d’oggi / a colloquio con Jonathan Dancy

Le ragioni prima dei princìpi

Jonathan Dancy
Jonathan Dancy

«Ho avuto due idee che potrebbero sopportare l’usura del tempo. Entrambe riguardano le ragioni per agire». Jonathan Dancy è docente all’University of Reading e University of Texas at Austin. Si occupa di teoria della conoscenza e, in particolare, della percezione di cui ha scritto opere importanti. Soprattutto, Dancy ha la responsabilità di aver introdotto nei dibattiti recenti una nuova teoria: il particolarismo morale. Si tratta della tesi che il pensiero morale non richiede l’uso dei principi. Per sapere come è giusto comportarsi è sufficiente comprendere la situazione e determinare che cosa c’è ragione di fare. Le ragioni, dunque, sono l’elemento indispensabile della conoscenza morale.

La prima delle due tesi che secondo Dancy sfidano il tempo riguarda proprio l’etica. Come sostiene in Ethics without Principles (Oxford University Press 2004) e in molti saggi più recenti, non è affatto ovvio che le ragioni funzionino in modo regolare e sistematico. Ciò che conta come ragione in una certa situazione non è affatto una ragione in altri casi.«Prendiamo un principio morale, per esempio che è bene aiutare il prossimo. Se davvero ci sia ragione di aiutare il prossimo dipende da una certa quantità di fattori che, in ciascuna situazione, interagiscono in modo del tutto peculiare. Se, per esempio, il prossimo sta scassinando una cassaforte è una domanda aperta se ci sia davvero ragione di aiutarlo. Per giustificare il nostro intervento dovremo tener conto di molte altre considerazioni disparate, alcune delle quali riguardano, per esempio, la natura della proprietà privata e le circostanze dell’azione».

Seguendo Dancy, bisogna abbandonare l’idea che «la moralità sia un sistema di regole e principi che si applicano in certe situazioni per scoprire come dovremmo agire». Questa, però, è una convinzione molto radicata, che ritroviamo alla base dei più importanti sistemi di etica della modernità. Perciò, «il particolarismo sfida in modo fondamentale quasi tutte le teorie tradizionali dell’etica. Sia Kant che J.S. Mill assumono che vi siano principi e che sia nostro compito scovarli. Io non vedo che bisogno ci sia dei principi. E questa obiezione alla filosofia morale tradizionale si dimostra particolarmente dura da respingere. È molto difficile dire perché dobbiamo pensare in termini di principi morali, come ci è stato insegnato». In realtà, anche il particolarismo ha degli illustri predecessori. Infatti, Dancy si richiama esplicitamente agli intuizionisti inglesi, come G.E. Moore e W.D. Ross. Questi filosofi riconoscono una qualche utilità ai principi, ma negano che abbiano una funzione determinante nella produzione della conoscenza.

Si potrebbe temere che in questo modo le ragioni siano piuttosto elusive e sfuggenti. Al contrario, per Dancy le ragioni sono fatti del mondo cui dobbiamo rispondere. Essere razionali significa appunto essere sensibili alle ragioni che si danno oggettivamente. Questa è la seconda tesi che Dancy difende. «Secondo la teoria standard le ragioni per agire coincidono con i nostri propri stati mentali, credenze e desideri. Un’azione intenzionale, fatta di proposito, è un movimento causato dalla combinazione di credenze e desideri dell’agente. Ma questa teoria è difficile da far quadrare con il fatto che le ragioni che abbiamo per compiere un’azione invece che un’altra, le buone ragioni, direi, molto spesso non coincidono affatto con i nostri stati mentali. Il fatto che sta per piovere è un’ottima ragione per rimanere a casa, anche se non credo che stia per piovere. Quindi mi sono chiesto com’è che la teoria standard spiega le buone ragioni per agire. In effetti, la teoria standard semplicemente non può spiegare le buone ragioni per agire. E siccome non può, bisogna pensare che le ragioni per agire non siano interne ma esterne a noi».

Combinate, queste due tesi ci danno indicazioni importanti sul ragionamento pratico. Secondo la teoria standard, si ragiona a partire da principi generali. Le ragioni per agire si ricavano per inferenza da tali principi. Se Dancy ha ragione, non è questo il modo di rappresentare il ragionamento pratico. Non ci sono principi generali, tantomeno universali, da cui si possono derivare giudizi particolari su che cosa dobbiamo fare. «Piuttosto, credo che la deliberazione sia un processo nel quale si adducono considerazioni di vario tipo che insieme depongono a favore di intraprendere un’azione piuttosto che un’altra. Alcune di queste considerazioni sono ragioni indipendenti per agire, ma questo non è l’unico modo in cui una certa considerazione è rilevante. Una considerazione che non è una ragione può aumentare o diminuire la forza di una ragione che viene suggerita da altre considerazioni. Una considerazione che non è una ragione può impedire a qualcos’altro di contare come una ragione. Tutto ciò si impara pensando seriamente alle ragioni per comportarsi in un certo modo. La deliberazione, allora, è un tentativo di mettere insieme tutte le considerazioni rilevanti per determinare che cosa fare, che cosa c’è più ragione di fare».

A buon diritto Dancy insiste sulla novità della nozione di ragione. «Questa nozione non era affatto prominente negli scritti dei filosofi morali del secolo scorso, né lo era quando ho iniziato la mia carriera». In effetti, si tratta di un’acquisizione recente nella filosofia analitica, dovuta in larga parte proprio a Dancy. «Allo stato attuale questo concetto è diventato centrale; secondo alcuni anche troppo! C’è addirittura un movimento filosofico secondo il quale il concetto di ragione viene prima di tutti gli altri, poiché serve a spiegare concetti come quello di obbligo, dovere, permesso, requisito e virtù. D’altra parte, c’è anche chi pensa che questo approccio sia implausibile. Polemiche a parte, credo che ci sia ancora molto da scoprire a proposito delle ragioni. Le creature razionali sono quelle capaci di rispondere alle ragioni, e qui includo anche gli animali. Quindi studiando le ragioni si imparano anche molte cose riguardo a noi stessi».

L’impatto del particolarismo? Un esempio molto concreto riguarda la giurisprudenza americana: il diritto civile ha esplicitamente accettato un’etica particolarista che «tende a mettere in dubbio l’utilità di regole generali capaci di produrre risultati determinati e che richiede che i giudizi morali siano effettivamente basati sulle circostanze di ciascuna situazione individuale»(Proposed Final Draft No. 1 of the Restatement (Third) of Torts, Section 8, comment c, pagg 117). Si giudica caso per caso. Nella giustificazione viene citato l’argomento di Dancy.

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