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Relazioni psicoanalitiche

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stephen mitchell

Relazioni psicoanalitiche

Se non fosse morto nel 2000, Stephen Mitchell oggi avrebbe 70 anni. Psicoanalista del William Alanson White Institute e docente alla New York University e alla Columbia, è tra i fondatori della rivista Psychoanalytic Dialogues. È stato il motore della «prospettiva relazionale» in psicoanalisi ed è ancora il nume tutelare dell’International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapy (IARPP), il cui congresso annuale si è appena svolto a Roma (9-12 giugno). Con la sua insistenza sul valore fondativo e curativo delle relazioni e la sua capacità di decostruire il dogmatismo che per decenni aveva segnato, spesso paralizzandolo, il dibattito psicoanalitico, Mitchell è uno degli analisti che più ha contribuito a ridefinire la fisionomia della psicoanalisi contemporanea, rileggendo la teoria delle pulsioni alla luce delle nostre vicissitudini interpersonali e del significato relazionale dei nostri bisogni.

I suoi libri (tutti tradotti in italiano, i primi pubblicati da Boringhieri, gli ultimi da Raffaello Cortina), comprendono argomenti diversi e non si prefiggono di fornire un sistema teorico compiuto, men che meno una metapsicologia. Piuttosto, rileggono il pensiero di altri analisti in chiave “relazionale”, cioè collocandolo in un’area intermedia tra mondo interno e mondo esterno, intrapsichico e interpersonale. Dialoghi psicoanalitici che hanno rappresentato la base di partenza per molti di noi, che a partire dalle sue osservazioni hanno costruito e sperimentato nuovi modi di fare psicoanalisi. Paradossalmente, la sua eredità, il clima di curiosità teorica e entusiasmo clinico che ha saputo promuovere, hanno in parte “oscurato” la genesi del suo pensiero, beatificandolo come iniziatore di un movimento, ma impedendo di apprezzare come, dietro la sua capacità di mettere in dialogo modelli «altrui», ci fosse una visione davvero originale dell’esperienza umana.

È questa visione che il volume curato da Francesco De Bei, mitchelliano della prima ora, vuole riportare alla luce. Nell’introduzione, scritta con Lew Aron, uno dei più importanti allievi di Mitchell, De Bei ci spiega come e perché ha scelto di tradurre questi articoli e di dividerli in una prima sezione teorica e in una seconda sezione clinica: essi rappresentano il laboratorio di scrittura e di idee da cui è emerso quello che Mitchell stesso, nel contributo che apre il volume, definisce «il mio viaggio psicoanalitico». Uno dei più interessanti è sicuramente «Le ali di Icaro», sul tema delle illusioni narcisistiche: se per la psicologia dell’Io e la psicoanalisi interpersonale, dice Mitchell, le illusioni narcisistiche «sono considerate difese regressive contro frustrazione, separazione, aggressione, dipendenza e/o disperazione», per gli autori relazionali rappresentano «il nucleo del Sé e la fonte più profonda della creatività. In questo caso il “narcisista” prototipico non è il bambino, il pazzo o il selvaggio, ma l’artista creativo, che dalle illusioni trae la sua ispirazione».

Riunire questi articoli è stato un modo non solo di ridare unità al lavoro di Mitchell, ma anche di ritrovare le sue idee là dove sono nate. In questo senso, si tratta «non solo di un volume di Mitchell, ma anche su Mitchell». Per chi fosse interessato anche «alle origini delle origini» del pensiero di Mitchell consiglio la piccola raccolta di scritti, finora sconosciuti al lettore italiano, del neurologo e psichiatra americano William White (1870-1937) tratti da Foundations of Psychiatry e rititolati Pazzi da slegare. Sulle origini della psichiatria umanistica.

Stephen Mitchell, Teoria e clinica psicoanalitica. Scritti scelti,
trad. di Francesco De Bei, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 314, € 28William A. White, Pazzi da slegare. Sulle origini della psichiatria umanistica, trad. di Chiara Rea, Castelvecchi, Roma, pagg.79, € 12,50

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