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Un economista da Formula Uno

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Un economista da Formula Uno

Paolo Aversa, 34 anni, economista del Vicentino
Paolo Aversa, 34 anni, economista del Vicentino

La corsa di Paolo Aversa è rapida e intermittente. Non è lineare. È a sbalzi. Dai seminari di Davide Rampello all’Università di Padova sul concetto dell’immagine nella contemporaneità ai paddock del circus itinerante della Formula Uno, analizzati con gli strumenti dell’econometria causale. Transitando per quella Bologna che non è soltanto la città di Umberto Eco, ma che è anche la sede della Ducati, quartiere operaio di Borgo Panigale, rombi di Scrambler e di Monster e ragazze bionde e brune arrotondate dal buon vivere. Con una tappa fondamentale a Philadelphia, alla Wharton School della University of Pennsylvania. E finendo a insegnare alla Cass Business School, City University London.
Aversa, 34 anni, rappresenta bene la figura del novizio itinerante della ricerca contemporanea, speciale monachesimo della cultura allo stesso tempo apolide e cosmopolita. O, meglio, la versione italiana bio-compatibile con il mainstream che oggi stabilisce, nell’economia e nelle scienze sociali, la prevalenza culturale della modellistica matematizzante. In questa sua evoluzione, che riesce a contemplare la cultura umanistica tipica della tradizione italiana e la iperspecializzazione quantitativa propria delle élite anglosassoni, la traiettoria di questo ragazzo di Costabissara, piccolo comune del Vicentino, con il suo diploma conseguito al Liceo Classico Antonio Pigafetta di Vicenza e una prima laurea in Scienza della comunicazione all’Università di Padova, appare insieme divergente e paradigmatica. Divergente perché rappresenta una alterazione rispetto ai tradizionali percorsi del Nord-Est, che avrebbero potuto essere confermati – nel suo caso – dal master al Cuoa di Altavilla Vicentina, preliminare all’ingresso in una impresa con funzioni manageriali. Paradigmatica perché l’adesione al modello anglosassone ha consentito ad Aversa di essere, nel 2015, uno dei dieci ricercatori europei più citati sui 300 principali media di lingua inglese, dal Times al New York Times, dall’Economist alla Bbc.
«Ho lavorato sei mesi alla Ducati – racconta Aversa – e poi mi sono iscritto al dottorato in economia a Bologna. Il passaggio fondamentale è stato il periodo di Wharton. Sono andato a Philadelphia da visiting scholar. Ci sono rimasto tre anni». Nel 2012 Aversa torna in Europa: grazie a una fellowship Marie Curie arriva alla Cass Business School, dove dal 2014 otterrà una posizione permanente di docente di strategia aziendale. Da subito si specializza in un campo del tutto vergine, estremamente glamour per i media ma allo stesso tempo sexy per la ricerca economica: le analisi delle strategie nella Formula Uno. La Formula Uno è un buon campo di studi: ha un gran numero di dati, le misure delle performance delle scuderie sono perfettamente comparabili, c’è una regolamentazione molto forte che chiarisce vincoli e perimetri, i fenomeni sono modellizzabili e matematizzabili. Oggi Aversa collabora con diverse squadre di Formula Uno e con la Motorsport Industry Association. «I miei studi – spiega – dimostrano come, quando c’è cambiamento competitivo, le scelte che pagano siano quelle più moderate. Si tratta di un risultato controintuitivo. Uno sarebbe portato a pensare che, al mutare per esempio del regolamento della Fia, sia meglio mutare strategie. Invece, funziona di più un atteggiamento conservativo. Lo stesso capita quando, in una scuderia, si cerca di avere un gran numero di stelle non solo fra i piloti, ma anche fra le altre funzioni operative. Non sempre questa strategia va bene. Anzi». Dunque, Paolo Aversa dà sostanza scientifica a intuizioni e a controintuizioni di manager che gestiscono, nelle loro scuderie, budget annuali di 300-400 milioni di dollari. Allo stesso tempo scrive paper accreditati: la business school tedesca Ebs ha premiato come il miglior articolo sull’innovazione del 2015 il suo lavoro «Driving Performance via Exploration in Changing Environments: Evidence from Formula One Racing», pubblicato sulla rivista Organization Science.
Lo scorso settembre, sull’Isola di San Servolo a Venezia Aversa ha presentato con successo un suo lavoro al seminario organizzato dal Cami, il Center for Automotive and Mobility Innovation di Cà Foscari, e dal Pvmi, il Program on Vehicle and Mobility Innovation della Wharton School. Nel circuito della ricerca globale la cosa che conta è l’appartenenza a un network qualificato. È attraverso i network intellettuali internazionali, che in qualche maniera ricalcano il concetto economico di catena globale del valore, che una realtà disastrata come l’Italia può opporsi al declino e non abbandonarsi a un destino di perifericità. È attraverso questi network che un italiano adottato da Philadelphia e da Londra, come Paolo Aversa, può conservare un rapporto sano con il suo Paese di origine.

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