Cultura

Tempio di Circe tra le «erbe»

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BELLA SCOPERTA AL CIRCEO

Tempio di Circe tra le «erbe»

S.Felice Circeo. Il Santuario della maga Circe, secondo l’ipotesi dell’archeologo Diego Ronchi
S.Felice Circeo. Il Santuario della maga Circe, secondo l’ipotesi dell’archeologo Diego Ronchi

La chiamano da sempre Villa dei Quattro Venti: è una costruzione romana a terrazze digradanti, a pochi passi dal centro di San Felice Circeo e in posizione dominante il mare. Una meraviglia. Un luogo veramente spettacolare che si diceva aver ospitato il triumviro Marco Emilio Lepido in esilio. Peccato però che quella struttura a terrazze digradanti sia tipica di molti santuari ellenistici, e che proprio nel Lazio ve ne siano parecchi, costruiti o ristrutturati tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C. Come i santuari di Palestrina o Terracina, per citare i più famosi. Ma allora quella “villa” del Circeo, non potrebbe essere anch’essa un santuario? Il dubbio serpeggiava tra molti, ma la certezza è giunta solo nel 2011 quando, durante un’operazione di pulizia dell’area, è stata scoperta un’iscrizione votiva di un certo Calpurnio Lucio. Se fosse giunto fino a noi anche il nome della divinità a cui si rivolge, saremmo stati a cavallo. Ma così non è. Però nel frattempo c’è stato chi ha ripreso le indagini archeologiche alla “villa” e altrove nel Parco del Circeo, e un’idea ora ce l’ha: è Diego Ronchi, archeologo dell’Università di Tor Vergata (ma “figlio” dei topografi della Sapienza). Gli indizi da lui raccolti suggeriscono con ragionevole probabilità che la “villa” sia proprio il «santuario di Circe» di cui parla il geografo Strabone. Circe la maga di Ulisse, la signora del Circeo che è significativamente luogo “ricco di erbe” a lei utili, sempre a detta di Strabone.

In realtà, finora si diceva che la dimora della famosa maga fosse un altro luogo sacro posto sul picco occidentale del promontorio. Un luogo dove nel 1928 è stata rinvenuta una testa femminile in marmo oggi conservata al Museo nazionale romano, identificata con Circe. Però Ronchi, che indaga il Circeo dal 2008, ha saputo affiancare alle indagini georadar e ai rilievi fotogrammetrici tridimensionali, realizzati con un’équipe multidisciplinare, una riflessione a tutto tondo sulla storia e la mitologia che gli ha concesso di gettare nuova luce sulle vicende e i monumenti del promontorio, compreso il cosiddetto ritratto di Circe. Col georadar ha individuato sotto la “villa” strutture finora ignote che ne hanno chiarito la funzione sacrale già prima della scoperta dell’iscrizione. I rilievi e le ricostruzioni 3D gli hanno consentito di analizzare la struttura e le tecniche costruttive di molti edifici antichi del promontorio, e avanzare importanti ipotesi sui loro artefici. Ma le indagini storiche lo hanno anche portato a precisare l’epoca in cui le genti del Lazio si sono impadronite dei miti greci: quell’inizio del IV secolo a.C. quando fu anche fondata la colonia latina di Circei (393 a.C.). Il momento in cui il promontorio - che già i naviganti greci avevano identificato con l’isola della maga e il luogo dove Elpenore morì, e da Ulisse fu sepolto – divenne rilevante anche per i latini. Non a caso Teofrasto prima, e Plinio il Vecchio poi, descrivono il sepolcro di Elpenore al Circeo circondato da piante di mirto «albero forestiero» (Plinio), ricordando così ancora una volta le piante aromatiche, strumenti di magia, per cui il promontorio era famoso.

Quanto al ritratto di Circe, è stato identificato come tale per dei fori presenti sul capo e interpretati come incassi per una corona radiata che si addice alla figlia del Sole. Tuttavia, osserva Ronchi, tra i molti ritratti a noi noti della maga, solo in due casi lei appare con i raggi in testa. E la statua del Circeo, che è copia romana di I secolo a.C. di un originale ellenistico, presenta in realtà molte analogie con diversi ritratti di Venere, divinità rappresentata molto spesso con un diadema: i fori della statua del Circeo sono perfetti per fissare un diadema di Venere. Inutile ricordare poi come la pianta sacra alla dea dell'amore sia proprio il mirto, con cui coprì le sue nudità quando uscì dal mare. Quante coincidenze! Se si aggiunge l’esistenza di uniscrizione in cui il Circeo è definito “Promontorium Veneris, il gioco è fatto: quello sulla cima del promontorio è santuario di Venere dove probabilmente aveva luogo un culto connesso con la diffusione del mirto in Italia. E grazie a un’altra iscrizione, Ronchi identifica anche chi ha introdotto il culto di Venere al Circeo: i coloni giunti in loco grazie al padre di Cesare nell’89-88 a.C. Mentre l’uniforme tecnica edilizia rivela che negli stessi anni di guerra civile si è anche ristrutturato il santuario di Circe e si sono realizzate moltissime opere come strade, acquedotti, ville, edifici a volta: una totale riorganizzazione del territorio.

Ora dunque tutto quadra, Ronchi ha rimesso le pedine al loro posto: il più antico santuario di Circe a dominio del porto, e quello più recente di Venere sulla cima del monte. Leggeremo questo e gli altri risultati sul Circeo in un volume dell’editore Ets di Pisa, in uscita in autunno. Però Ronchi avverte: solo una nuova stagione di scavi ai Quattro Venti e nel Circeo tutto, potrà forse trasformare le attuali ipotesi, per quanto calzanti, in vere certezze.

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