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Artisti per post comunisti

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LUBIANA

Artisti per post comunisti

Aale & installazioni. Una delle sale dell’Ottava Triennale di Arte Contemporanea di Lubiana
Aale & installazioni. Una delle sale dell’Ottava Triennale di Arte Contemporanea di Lubiana

Ci sono cose che entrano nelle mentalità per generazioni, attitudini del pensiero che cambiano lentamente e che si incrociamo con inquietudini nuove. Così accade che in molti paesi usciti dal comunismo reale da molti anni, si continui a pensare a esso come una via praticabile o solo momentaneamente interrotta. È questo il tema sotterraneo dell’Ottava Triennale d’Arte Contemporanea U3, presso la Galleria d’arte Moderna e Contemporanea di Lubiana, curata dall’ex sovietico Boris Groys su invito di Zdenka Badovinac.

La mostra, intitolata Beyond the Globe, parla di globalizzazione come fenomeno sociale ma anche di desiderio di conquista dello spazio, di una rinata fiducia nella scienza e in pratiche politiche utopistiche. Si riflette sul post comunismo in un momento in cui molti rimpiangono la speranza, insita nella sua impostazione posthegeliana, che la storia abbia un senso positivo. Groys è del resto uno degli studiosi che riflette con più lucidità su questi temi, additando la perdita di idealismo e la supremazia del potere monetario nell’ambito della stessa produzione artistica e, d’altro canto, sottolineando come l’unificazione globale del gusto artistico dipenda più dal mercato che dalla sensibilità degli artisti: questa resta inevitabilmente legata ai contesti di provenienza e la rassegna ne è una prova palpabile.

L’esposizione si apre con una ricostruzione in cera del volto morto di Kasimir Malevic, con il corpo coperto da un lenzuolo e ogni altro particolare, dal coperchio della bara al suo Quadrato nero su fondo bianco (1915), riprodotto in scala reale a partire dalle fotografie del funerale. La ieraticità della figura spiega una volta di più la derivazione della sua opera dalle icone cristiano ortodosse, epurata dal credo nel trascendente e invece volta proprio a far vincere l’uomo, la ragione, il sapere esemplificato dalle figure geometriche e dall’assenza di casualità. Autori dell'opera sono i componenti del gruppo Irwin, da molti anni in rappresentanti più significativi del panorama sloveno e tra i più precisi nel prendere atto delle difficoltà del nuovo mondo capitalista. Il loro omaggio a Malevic, punto di riferimento per le avanguardie sovietiche (anche se poi avversato dal regime), si sposa dunque con l'organizzazione di un partito dei clandestini attivo da anni, ma che adesso ha una speciale attualità. In un’altra opera, una fotografia modificata, gli Irwin propongono come reale il mausoleo mai realizzato a Lubiana dell’architetto Joze Plecnik, un cono di sapore modernista che si sarebbe dovuto ergere verso il cielo come a significare un universalismo politico laico, eppure pregno di segni mistici e mitici.

Sempre seguendo il tema dell’architettura utopica, Jasmina Cibic presenta la ricostruzione del Padiglione del Regno di Yugoslavia costruito a Barcellona per l’Expo del 1929. Progettato dall’architetto serbo Dragisa Brasovan, si narra (ma è un mito tutto da provare) che sia stato scippato del primo premio da Mies Van Der Rohe e dal suo Padiglione tedesco. La struttura è interessante in quanto è una torre che parla di ossessione del controllo, militare e morale; impossibile non pensare al soft power che noi pensiamo di avere sconfitto insieme ai regimi autoritaristi, ma che è andato ben oltre nel toccarci capillarmente attraverso strutture meno visibili.

La mostra prosegue inseguendo la tematica del globo come pianeta sfruttato e che ora merita un rispetto diverso, come accade nelle micro comunità agricole messe in campo da Marjetica Potrc: altra slovena di prestigio internazionale, ha sempre lavorato sugli aspetti più utopici della sostenibilità, mettendo in atto coltivazioni in cui tutto si riutilizza, si usa solo acqua piovana, non servono sostanze chimiche e il profitto non implica spreco ma l’ottimizzazione delle risorse: metodi premoderni si allacciano quindi a tecnologie recenti per il riciclo. Il tema del mondo vegetale è affrontato, tra l’altro, anche nel video di Ye Fang, dove si esalta lìimportanza del giardino come luogo di auto-educazione e rigenerazione, nonché nell’installazione collettiva intitolata Storia della pietra, una concrezione di cartapesta si dispiega come una costellazione cosmica. Altre opere parlano della natura in termini che mescolano il comunismo al confucianesimo.

Il capolavoro ci coglie alla fine sotto la forma di un film di Anton Vidokle, intitolato The Communist Revolution Was Caused by the Sun. Partendo dalle idee del fisico sovietico Alexander Chizhevsky, ucciso per la sua visionarietà o forse per scoperte che davvero avrebbero potuto cambiare l’economia su vasta scala, il film racconta le sue ricerche sulle emissioni solari e il loro impatto sul comportamento umano: guerre, rivoluzioni, epidemie, strutture politiche, oltre che umori individuali, sarebbero influenzati appunto dalle radiazioni. L’idea di conquistare lo spazio, così amata dal comunismo sovietico, sarebbe insomma stata generata anche dal desiderio di capire cosa ci condiziona al di là di ciò che risulta visibile, forse nel tentativo di modificare o utilizzare al meglio l’energia che ci nutre.

Uno sguardo verso Est, questa mostra, che dovremmo potere avere più spesso, raccogliendo tra i nostri eroi intellettuali chi, nellìidea di comunismo, ci è cresciuto davvero e ci può dire che non è stata il bene massimo ma nemmeno il male assoluto.

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