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Come cambia il Sacro

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IMMAGINE E MORALE

Come cambia il Sacro

Materialismo e religione. Un particolare della Cappella Sistina disegnata da Michelangelo (1475-1564)
Materialismo e religione. Un particolare della Cappella Sistina disegnata da Michelangelo (1475-1564)

Le immagini hanno spesso avuto un valore politico e hanno fatto parte molte volte di strategie articolate di comunicazione ideologica. Basti pensare all’arte sovietica o ai bellissimi manifesti della Cina maoista e postmaoista. Del resto le immagini hanno la capacità di trasformare la percezione del mondo. Lo abbiamo imparato nel ventesimo secolo non solo con la fotografia, oltre che con altre nuove espressioni d’arte, ma anche con le forme del pop e della cultura popolare - certamente anch’esse spesso parte di strategie più vaste, commerciali, industriali, ma che sono anche autonome portatrici di libertà e trasformazione collettiva e individuale. E per il potere delle immagini si sono fatte guerre e si sono esercitate violenze, pensiamo recentemente ai Budda di Bamijan o alle sculture di Nimrud, o anche alle vignette di Charlie Hebdo. Del resto le immagini religiose, almeno dall’iconoclastia in poi, hanno rivestito uno statuto speciale, sia per il rapporto presunto con il divino, sia soprattutto per la loro capacità di farsi integrare come dispositivo di controllo e di comunicazione, ma anche di libertà.

Chiara Franceschini, docente di storia dell’arte rinascimentale e moderna all’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera, ha ottenuto un ERC Grant dell’Unione Europea per fare luce su alcune dinamiche sociali, istituzionali e artistiche relative al potere di certe immagini religiose nei secoli della prima modernità. Franceschini e il suo gruppo di ricercatori hanno osservato alcuni fenomeni interessanti del rapporto tra immagini e istituzioni, in particolare nella vasta area dei Paesi cattolici dell’Europa del Cinque e del Seicento, Paesi Bassi, Spagna, Francia, Italia: alcune opere artistiche di argomento sacro vengono giudicate visualmente non conformi all’immaginario religioso. Un esempio classico è quello di Michelangelo, la cui opera aveva sollevato polemiche postume rispetto alla congruenza delle sue immagini della Cappella Sistina, con quei corpi così materiali e concreti, con il loro soggetto religioso. Un esempio più particolare è dato invece dai crocefissi lignei del siciliano Innocenzo da Petralia (morto nel 1648), che mostrano un’eccezionale espressività del dolore di Cristo attraverso il realismo delle ferite del suo corpo e la sofferenza del suo viso. Innocenzo non diventa subito sospetto, del resto i suoi soggetti sono del tutto legittimi, ma attira l’attenzione dell’Inquisizione - che attiverà un procedimento di chiarimento - a mano a mano che dissemina per l’Italia questo stile iperrealistico: in questo senso è un po’ se esistesse una specie di mobile geografia delle norme visive (in Sicilia Innocenzo non ebbe mai problemi, spostatosi ad Assisi incappa nell’Inquisizione). Ed è proprio questa apparentemente impalpabile geografia visuale uno dei punti salienti del progetto. Chiara Franceschini intende mappare le tracce di quelle procedure di indagine, degli interrogatori, delle ammonizioni - non si tratta quasi mai di veri e propri processi - che indicano come di fatto le immagini sacre, pur restando dentro un’ortodossia di temi e di soggetti, fossero capaci di provocare, in maniera autonoma e non necessariamente volontaria, spostamenti estetici dell’esperienza religiosa collettiva. È forse proprio questo l’elemento incongruo, non conforme, che catturava l’attenzione delle istituzioni, più abituata a ragionare sui testi e sulle dottrine. Sul piano storico la ricerca può spiegare come si impongano certe tradizioni formali - perché le nuove creazioni del singolo artista producevano poi imitazione da parte di altri e diffusioni di nuovi stili - e che rapporti si siano sviluppati in diverse aree europee tra novità, artisti, relazioni imitative e anche dialoghi sotterranei al di qua e al di là della divisione tra protestanti e cattolici. Sul piano teorico si potrà mostrare non solo come le immagini abbiano una capacità normativa autonoma, cioè hanno in fondo necessità di decidere per se stesse, di darsi una disciplina propria, di seguire le proprie trasformazioni, ma anche che, grazie alla loro capacità di emozionare, di far vedere, di far immaginare, esse sono in grado di influire sull’esperienza religiosa stessa e di trasformare così le percezioni e i dispositivi delle istituzioni, in una specie di sotterraneo ma vivificante conflitto di norme

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