Cultura

Dei e Imperatori alti dieci centimetri

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il tesoro dei medici / la rassegna

Dei e Imperatori alti dieci centimetri

Capolavori in sontuoso allestimento. Nella foto, una sala del Museo degli Argenti a Palazzo Pitti a Firenze dove è allestita fino al 2 novembre la mostra «Splendida Minima» dedicata alle piccole sculture preziose collezionate dai Medici
Capolavori in sontuoso allestimento. Nella foto, una sala del Museo degli Argenti a Palazzo Pitti a Firenze dove è allestita fino al 2 novembre la mostra «Splendida Minima» dedicata alle piccole sculture preziose collezionate dai Medici

Fra i tanti primati che la passione collezionistica dei Medici consegnò in eredità a Firenze, vi è quello del maggior numero di piccole sculture in pietra dura concentrato in un’unica raccolta, poi suddivisa tra il Museo degli Argenti anzitutto - rinominato Gallerie degli Uffizi-Tesoro dei Granduchi - e poi il Museo Nazionale di Archeologia e il Museo universitario di Storia Naturale-Sezione di Mineralogia, sempre a Firenze. Di antiche, vale a dire di età ellenistica e romana, se ne conoscono al mondo meno di cinquecento. Ora in palazzo Pitti la mostra Splendida minima, la prima dedicata a questa particolare produzione artistica, riunisce tutte le microsculture della collezione medicea, splendidi oggetti minuscoli, come recita il titolo latino della mostra. Infatti fra i requisiti che un oggetto deve possedere per entrare nell’esclusivo club, oltre all’essere antico, di materiale prezioso e lavorato a tutto tondo (non a intaglio o cammeo, come nella più comune glittica), c’è quello della dimensione: dev’essere piccolo o piccolissimo. Ce ne sono di poco più grandi di un’unghia, eppure di lavorazione squisita, così da presumere l’uso di lenti, oltre che di attrezzi sofisticati, da parte di peritissimi artefici.

Dalla Sala di Giovanni da San Giovanni all’ultima delle Sale d’Udienza nell’antico quartiere estivo di Palazzo Pitti, la mostra dispiega in un percorso chiaro e ben scandito meraviglie antiche e moderne, anche prestate da musei italiani ed esteri per integrare il già ricco lascito mediceo. S’impone subito il quesito: a che cosa servivano testine, busti e perfino un’aquila scolpiti in calcedonio, agata, ametista, e altre pietre ancora? Le iconografie di un bassorilievo marmoreo e di un dittico eburneo, oltre che la corona sull’elmo-maschera di Nijmegen qui replicata, informano sugli usi originari, legati a figure dominanti: e di questo non c’è da dubitare, visto il pregio altissimo degli oggetti, che venivano montati nelle insegne del potere convalidato dall’autorità imperiale, quali scettri e corone. La sequenza di piccole sculture, ognuna affascinante per un suo motivo, fra gli dei, gli uomini e le donne comprende anche ritratti imperiali: magnetica la somigliantissima testa di Augusto con il volto di pasta vitrea turchese, con collo e busto d’oro cinquecenteschi di Antonio Gentili da Faenza.

La prima sala approfondisce la provenienza archeologica dei pezzi esposti, molti passati per i tesori delle cattedrali medievali, dove tuttora si trovano preziose figurine incastonate in regàlia d’illustre appartenenza, come quelle di Carlo Magno ad Aquisgrana: dimostrazioni fisiche e pegni simbolici di continuità con l’Impero Romano, pur attraverso le trasformazioni dei regimi politici d’Europa e gli avvicendamenti delle religioni.

Illuminati con efficacia e con gusto nelle vetrine, busti e statuine levitano in un vuoto che consente di apprezzare da ogni lato la loro fattura, le pietre dai colori tenui o al contrario intensi - turchese, granato, giacinto, lapislazzuli -, la pura trasparenza del cristallo di rocca e lo splendore inalterabile dell’oro. Come un elegante fantasma sorge dall’ombra della sua teca la Cerere trovata a Weiden, oggi a Berlino, di un calcedonio pallido e traslucido.

Le sale seguenti si concentrano su una narrazione tutta medicea. Un luogo solo ne forma lo scenario ideale: la Tribuna degli Uffizi. La Tribuna (voluta da Francesco I e costruita per lui da Bernardo Buontalenti), nel fatidico anno 1584 in cui venne allestita non solo fu il primo museo dell’Europa moderna, ma si presentò come museo universale, prerogativa che oggi sembra appannaggio esclusivo di grandi concentrazioni come il British Museum, il Louvre, il Metropolitan Museum di New York. Perché nella Tribuna erano compresenti la pittura, la scultura e le arti decorative, con esaltazione speciale per l’arte delle pietre dure; vi erano le meraviglie della natura e le creazioni dell’artificio; vi erano la statuaria degli antichi e la pittura dei moderni. In questo scrigno-microcosmo il granduca Francesco, collezionista appassionato di tutto e in specie di capolavori in miniatura, li fece disseminare ornando non solo il prezioso stipo centrale “a tempietto” (che il fratello Ferdinando avrebbe smantellato, dopo essergli subentrato nel governo alla sua morte nel 1587), ma anche i palchetti e le mensole sulle pareti del vano ottagonale. La Tribuna, come osserva Valentina Conticelli nel catalogo, sovverte il rapporto fra il collezionista e i suoi tesori: non più chiusi in stanzini, studioli e scatolini per la gioia di pochi, bensì sistemati ed esposti in un ambiente monumentale, per esser contemplati e mostrati con orgoglio. Immaginate il brulichio prezioso di quel piccolo popolo colorato, non rinchiuso da vetrine né protetto da allarmi (com’è oggi inevitabile), ma invece distribuito negli anfratti e sui risalti dei legni dorati, ad accendersi di riflessi nella luce diurna, che spiove dalla lanterna e scivola di valva in valva lungo gli spicchi della cupola ornata di conchiglie perlifere. Francesco I fa comprare costosissime statuine antiche e pietre grezze, ordina ai suoi artisti busti per teste preesistenti, ne fa fare di nuove, lavora lui stesso al suo banco da orefice, per favorire la metamorfosi della Tribuna in una grotta urbana incrostata di gioie.

Qualche decennio dopo sarà il discendente cardinal Leopoldo - cadetto geniale, inventore del collezionismo dei disegni e degli autoritratti - a riprendere gli acquisti di statuine: sua era la misteriosa mano in calcedonio, androgina e carnosa, eletta a simbolo della mostra. Infine il Granduca Cosimo III arricchisce ancora la Tribuna, aggiungendo bronzetti e figure varie ai palchetti, in una disposizione fitta di sottili rimandi e studiate simmetrie, che la mostra rievoca nell’ultima sala con rigore filologico e insieme con potente suggestione.

Statuette sei-settecentesche in pietre dure mostrano l’abilità di specialisti come Giovan BattistaTorricelli. Ma ormai la rincorsa ad effetti di persuasivo naturalismo affievolisce la magia: la magia dell’antico uso visionario e surreale di pietre preziose rosse, viola o blu per piccole teste, il cui carisma ha attraversato vittorioso i secoli.

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