C’è un punto su cui l’accordo filosofico è pressoché assoluto: David Hume è ed è stato il protagonista indiscusso della filosofia di orientamento analitico. A Hume si sono rivolti i filosofi analitici della prima ora, animati da un atteggiamento antimetafisico e antidogmatico.
Secondo Hume, il filosofo cerca spiegazioni dei costumi ed analizza la natura umana come un anatomista, invece di predicare la virtù e condannare il vizio al modo dei preti. È l’analisi, piuttosto che l’esortazione o il biasimo, che compete al filosofo pratico. A Hume si deve il risveglio di Kant «dal sonno dogmatico» e i kantiani contemporanei hanno imparato la lezione di metodo: dopo Hume, il filosofo deve fare i conti prima di tutto con l’esperienza. Negli ultimi decenni, gli studi humeani hanno ripreso ulteriore vigore, parallelamente alla crescente importanza del metodo sperimentale. Negli studi di filosofia della mente e di etica influenzati dalle scienze cognitive l’ortodossia è humeana.
Ma c’è ancora qualcosa da scoprire su Hume? Ebbene, sì. Secondo Jacqueline Taylor, docente di filosofia alla University of San Francisco e Presidente della Hume Society, Hume ci offre una teoria delle relazioni sociali in grado di affrontare le emergenze e criticità del nostro tempo. Che l’approccio di Taylor a Hume è innovativo si indovina dal titolo del suo ultimo libro Reflecting Subjects: Passion, Sympathy and Society in Hume’s Philosophy (Oxford University Press 2015). Taylor inizia con un esame del metodo sperimentale di Hume nelle scienze della natura umana, ma ci conduce ben presto a conclusioni piuttosto diverse da quelle ortodosse. Anziché insistere su come la ragione sia fatta «schiava delle passioni», Taylor porta alla luce un aspetto largamente trascurato della filosofia di Hume, la riflessione.
Il termine «riflessione» rende bene la tesi di Hume che le nostre menti sono specchio l’una dell’altra. Il «rispecchiamento sociale è un’interazione complessa, sia cognitiva sia affettiva, che avviene con gli altri nei modi quotidiani della presentazione di sé. La stima degli altri rinforza il nostro orgoglio; il disprezzo indebolisce il senso del proprio valore. Gli effetti del rispecchiamento sociale possono essere perniciosi, quando le persone sono giudicate in modo pregiudiziale per il genere, la classe sociale o la professione a cui appartengono».
Ciò che Hume ci offre di nuovo è una teoria sociale, ovvero, un resoconto delle relazioni tra persone. «I nostri ruoli sociali, per esempio, quello di moglie o di madre, vengono costruite attraverso le istituzioni del matrimonio e della famiglia. Il modo in cui si esperiscono le passioni e il significato che esse hanno per noi, per la nostra identità e per il posto che occupiamo nel mondo, sono costituiti entro un contesto sociale particolare».
In quale relazione stanno con le passioni con le istituzioni sociali come il matrimonio? Quale relazione c’è tra il governo di sé e il governo degli altri? La scienza sperimentale della natura umana di Hume cerca di rispondere a queste domande. Sostenendo la centralità di queste domande, Taylor intende contrastare e rifiutare alcune interpretazioni più limitate di Hume che lo caratterizzano, in modo più circoscritto, come utilitarista e non-cognitivista. La tesi centrale di Hume, in questa nuova prospettiva, è che «le istituzioni sociali hanno un ruolo nel dar forma a ciò che possiamo chiamare un’economia delle passioni, con aspettative sociali rispetto a ciò per cui si dovrebbe provare orgoglio o vergogna».
Secondo Taylor la teoria humeana ha le risorse per identificare e correggere le storture delle divisioni sociali che si articolano intorno alle due categorie sociali primarie, la classe sociale e il genere. «Negli scritti più tardi Hume presta particolare attenzione alle differenze tra le economie e i governi antichi e moderni. Tali differenze si ripercuotono nelle relazioni sociali e condizionano i modi in cui le persone possono sviluppare le proprie capacità di scegliere il tipo di carattere e il tipo di vita che intendono condurre».
È qui che Taylor individua un secondo livello della riflessione, che riguarda la storia e le esperienze passate per ricavarne strumenti da utilizzare nel presente. «Questa riflessione può dunque essere una forma di deliberazione collettiva che riguarda non solo le istituzioni politiche come il governo e la legge che creano diritti e libertà, ma anche i costumi, cioè, i modi consueti di rispondere agli altri e le aspettative che si nutrono rispetto a come gli altri dovrebbero trattarci».
L’ultimo Hume introduce il concetto di umanità e Taylor sostiene che sia proprio questo concetto rappresenti il segno distintivo della filosofia illuminista di Hume. «Se il temperamento individuale o le circostanze ci possono rendere insensibili o compassionevoli, un ordinamento sociale giusto può aiutarci a coltivare l’interesse per la felicità altrui e favorire un atteggiamento umanitario, di compassione reciproca». Taylor svolge questo argomento in una direzione che converge con argomentazioni femministe a proposito dell’ineguaglianza sociale.
Le emozioni e i sentimenti sono tradizionalmente associati con il femminino anziché con l’uso virile del potere, ma Taylor mostra che le passioni sono invece forze di importanza fondamentale nell’esercizio del potere politico. «Quando l’agenda politica è sotto il controllo di pochi, questi possono instillare la paura e generare quella mancanza di fiducia che conduce all’ineguaglianza. Al contrario, gli ordinamenti sociali che favoriscono il senso di umanità, di rispetto della competenza morale e dell’orgoglio ad essa associato, consentono anche dialogo e dibattito, favoriscono la negoziazione del significato delle identità, garantendo così maggiori diritti e libertà».
Rivalutando il ruolo politico delle passioni, Taylor ci dà ragione di rivedere anche alcune valutazioni sommarie dell’Illuminismo, solitamente identificato con la celebrazione della ragione e del controllo. «La modernità ha fatto qualche progresso, sebbene vi siano ancora discriminazione, esclusione, marginalizzazione e odio razziale». È proprio qui che Hume può darci una lezione: «dobbiamo prestare più attenzione al modo in cui vengono costruite le identità delle persone come tipi sociali, che oggi così come nel diciottesimo secolo, includono le donne, i membri di gruppi religiosi, migranti e immigrati, minoranze etniche e razziali».
© Riproduzione riservata